Al vertice dei capi di Stato e di governo dei giorni scorsi è stato al centro dell’attenzione Viktor Orbán, accusato di aver promosso l’introduzione di una legge omofoba in Ungheria. E in gioco non c’è solo la schermaglia dialettica. Ma una procedura d'infrazione con tanto di sanzione economica o addirittura, come vorrebbe l'Europarlamento, la sospensione dei finanziamenti del Recovery Fund.
Eppure non tutti i diritti umani sono uguali. Se da un lato con il premier magiaro Bruxelles ha mostrato tutta la fermezza possibile, con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è tutta un’altra musica. Nonostante siano di dominio pubblico le condizioni durissime alle quali sono costretti i rifugiati trattenuti in Turchia, l’Unione europea si è detta pronta a sborsare altri 3,5 miliardi di euro (dopo i 6 già pagati) nelle casse di Ankara purché i migranti non arrivino in Europa e la rotta balcanica sia sigillata. Ed è probabile che, dopo il ritiro delle truppe Usa e Nato dall’Afghanistan, i flussi riprenderanno a correre.
Il problema non è soltanto la Turchia. Il tema degli accordi economici per impedire ai migranti di arrivare in uno dei paesi dell’Ue riguarda anche il continente africano, con in testa la Libia.