La tecnologia sta cambiando radicalmente il modo stesso in cui i capi di vestiario vengono progettati, prodotti, confezionati e venduti. Per questo, dopo decenni di produzione massiva e sfruttamento di lavoratori a basso reddito nel Sud del mondo, il settore appare da ripensare completamente.
L’intelligenza artificiale e la robotica stanno sostituendo la manodopera: un processo che porterà dei vantaggi ai consumatori, ma anche una potenziale minaccia che rischia di togliere il lavoro a milioni di persone alla base della filiera produttiva. Se prima ci si chiedeva da chi e dove fossero prodotti i vestiti che indossavamo, oggi la domanda riguarda il come e il cosa, ovvero i processi e i materiali utilizzati.
Più della metà delle esportazioni tessili mondiali e circa il 70% di quelle di vestiario confezionato provengono da economie in via di sviluppo. Soltanto in Asia sono 43 milioni le persone impiegate nelle industrie dell’abbigliamento, del tessile e delle calzature. Le donne rappresentano i tre quarti della forza lavoro. Ma qualcosa potrebbe ora cambiare.
Amazon ha, infatti, ottenuto un brevetto negli Stati Uniti per implementare un sistema di produzione di abbigliamento “on demand” e ha annunciato una propria linea esclusiva: è indubbio che l’intelligenza artificiale aumenterà l’efficienza produttiva e abbasserà ulteriormente i costi di produzione, ma a quale prezzo? A farne le spese potrebbero essere milioni di lavoratori a basso reddito in predicato di essere tagliati fuori dalla filiera produttiva.
Le industrie sono consapevoli che dovranno adottare un approccio al business tenendo conto delle persone, perché altrimenti rischiano di distruggere il mercato del lavoro del comparto. E anche la politica dovrà fare la propria parte: oggi grandi riserve di manodopera a basso costo non costituiscono più un vantaggio strategico nell’economia globale. Bisogna dare nuove competenze ai lavoratori nel passaggio dalla produzione ad altro contenuto tecnologico: un futuro che è già qui.