Feudalesimo digitale

Sfruttando tecnologie originariamente sviluppate dal settore pubblico, le aziende di piattaforme digitali hanno acquisito una posizione di mercato che consente loro di ricavare enormi rendite sia dai consumatori che dai lavoratori. Riformare l’economia digitale in modo che serva a fini collettivi è la sfida economica che definisce il nostro tempo

Feudalesimo digitale

Con i dati personali che stanno diventando la merce più preziosa al mondo, gli utenti saranno i padroni o gli schiavi dell’economia delle piattaforme?

Ad oggi, le prospettive di democratizzazione delle piattaforme restano scarse. Gli algoritmi si stanno sviluppando in modi che consentono alle aziende di trarre profitto dal nostro comportamento passato, presente e futuro, o da ciò che Shoshana Zuboff della Harvard Business School descrive come il nostro “surplus comportamentale”.

In molti casi, le piattaforme digitali conoscono già le nostre preferenze meglio di noi e possono spingerci a comportarci in modi che producono ancora più valore. Vogliamo davvero vivere in una società in cui i nostri desideri più intimi e le manifestazioni di agenzia personale sono in vendita?

Le aziende tecnologiche attuali, in origine, utilizzavano le loro ampie reti per attrarre diversi fornitori, con grande vantaggio per i consumatori. Ad esempio, Amazon consentiva ai piccoli editori di vendere titoli che altrimenti non sarebbero mai arrivati ​​sullo scaffale della libreria locale. Il motore di ricerca di Google restituiva una vasta gamma di fornitori, beni e servizi.

Ma ora entrambe le aziende sfruttano la loro posizione dominante per soffocare la concorrenza, controllando quali prodotti gli utenti vedono e favorendo i propri marchi (molti dei quali hanno nomi apparentemente indipendenti). Al contempo, le aziende che non pubblicizzano su queste piattaforme si trovano in una situazione di grave svantaggio.

I decisori politici economici dovrebbero cercare di capire come gli algoritmi della piattaforma distribuiscono il valore tra consumatori, fornitori e la piattaforma stessa. Creare un ambiente che premi la creazione di valore autentico e punisca l’estrazione di valore è la sfida economica fondamentale del nostro tempo.

Per realizzare questo potenziale, dovremo ripensare la governance dei dati, sviluppare nuove istituzioni e, data la dinamica dell’economia delle piattaforme, sperimentare forme alternative di proprietà. Per fare solo uno dei tanti esempi, i dati che si generano quando si usa Google Maps o Citymapper, o qualsiasi altra piattaforma che si basa su tecnologie finanziate dai contribuenti, potrebbero essere utilizzati per migliorare il trasporto pubblico e altri servizi, piuttosto che trasformarsi semplicemente in profitti privati.

Naturalmente, alcuni sosterranno che regolamentare l’economia delle piattaforme ostacolerà la creazione di valore guidata dal mercato. Ma dovrebbero tornare indietro e rileggere Adam Smith (uno dei più accaniti ‘mercatisti’), il cui ideale era un mercato libero da rendite, non dallo Stato.

Algoritmi e big data potrebbero essere utilizzati per migliorare i servizi pubblici, le condizioni di lavoro e il benessere di tutte le persone. Ma queste tecnologie sono attualmente utilizzate per indebolire i servizi pubblici, violare la privacy individuale e destabilizzare le democrazie mondiali, il tutto nell’interesse del guadagno personale.

L’innovazione non ha solo un tasso di progressione; ha anche una direzione. La minaccia posta dall’intelligenza artificiale e da altre tecnologie non risiede nel ritmo del loro sviluppo, ma nel modo in cui vengono progettate e implementate.

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