Nel 2021 l’Ue ha speso 328 miliardi di euro in ricerca e sviluppo (R&S), con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente (310 mld). In riferimento al 2011, si è registrato un aumento del 43,9%. Questi tassi di variazione sono a prezzi correnti. Dunque riflettono sia le variazioni di prezzo che quelle reali del livello di spesa.
Tuttavia, quando si esamina la spesa in R&S rapportata al Pil (ovvero la sua intensità), i dati mostrano una diminuzione dal 2,31% nel 2020 al 2,27% nel 2021. Rispetto al 2019 (2,23%), prima della pandemia, l’intensità di R&S è aumentata di 0,04 punti percentuali (pp) nel 2021, mentre rispetto ai 10 anni precedenti è salita di 0,25 pp.
Non molto dunque, anche in considerazione del fatto che ad esempio la Germania è stabilmente sopra al 3%. Eppure, la R&S è uno dei principali motori dell’innovazione, e sia la spesa che l’intensità di R&S sono due degli indicatori chiave utilizzati per monitorare le risorse dedicate alla scienza e alla tecnologia in tutto il mondo.
La più alta intensità di R&S nel 2021 è stata registrata in Svezia (3,35%), seguita da Austria (3,22%) e Belgio (3,19%). Sei Stati membri hanno dichiarato una spesa in R&S inferiore all’1% del proprio Pil nel 2021: Romania (0,48%), Malta (0,65%), Lettonia (0,71%), Bulgaria (0,81%), Cipro (0,89%) e Slovacchia (0,95%). L’Italia - la cui economia è afflitta da nanismo industriale ed è specializzata in ambiti low-tech - è a metà classifica, al di sotto della media europea. Il dato non arriva neanche all’1,5%.
In sintesi, due terzi degli Stati membri dell’Ue hanno registrato una maggiore intensità di R&S nel 2021 rispetto al 2011. Tuttavia, osservando la spesa in R&S per settore nell’Ue, quello delle imprese ha continuato a rappresentare la quota maggiore della R&S (66,08% del totale di R&S erogato nel 2021). Il che significa che c’è ampio spazio per accrescere la spesa pubblica (universitaria e non).