A metà strada tra un incantesimo e la Maga Circe. Ecco cosa è per noi lo schermo di un cellulare. Ci attira con il bip di una notifica o con la scusa di un messaggio da scrivere o una mail da leggere. Subito cattura le nostre pupille con altre mille seduzioni digitali e ci inghiotte come una divinità ammaliante. La quale sa appunto dove risiede il segreto di tanta arrendevolezza. I nostri occhi.
Un segreto da cui i produttori hanno attinto senza fine. Creando schermi in grado di ospitare un numero sempre maggiore di meraviglie. Cioè sempre più grandi. Una tendenza senza eccezioni da parte di tutti i costruttori. Compresa la Regina della telefonia, la Apple che però ha dovuto sconfessare il Padre e disattendere una sua direttiva. Steve Jobs nel 2010, maneggiando prototipi sovradimensionati per il tempo, disse “nessuno mai comprerà una cosa così”. E quindi la casa di Cupertino, che nel 2007 aveva stupito il mondo con l'iPhone, dovette cedere lo scettro di apripista nel campo dell'estensione dei display alla Samsung. E per ironia del destino i profitti maggiori per Tim Cook, l'erede di Steve Jobs, vengono proprio dai modelli maxi.
Però ora anche basta con il gigantismo. I costruttori si sono resi conto di aver tirato troppo la corda con gli effetti visivi attira-attenzione. Un po' gli studi che alzano l'allarme sui pericoli di passare ore e ore (uno studio americano parla di 11 ore di media al giorno tra schermi del cellulare, tv, pc, ecc) e sui connessi rischi di calo delle capacità cognitive; dall'altra, il mero business. Le vendite ristagnano, quasi ogni abitante del pianeta ha un telefono smart e, quindi, si battono nuove piste.
Se gli occhi sono esausti, c'è molto spazio sonoro disponibile, hanno pensato gli sviluppatori. E, quindi, vai con gli assistenti vocali, promossi da Amazon e Google. Oppure con le super-cuffie AirPods e l'orologio tuttofare. E guarda caso, con questi due device, ecco che Apple torna pioniere.
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