La guerra della Russia in Ucraina, il recente incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping a Mosca e il successo della Cina nel mediare un riavvicinamento diplomatico tra Iran e Arabia Saudita stanno alimentando nuove voci sulle minacce al primato globale degli Stati Uniti e, in particolare, a quello del dollaro americano.
Il principale nemico della prima economia al mondo è riassunto in un acronimo: BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il gruppo sta ora valutando un allargamento che porterebbe Paesi come Iran e Arabia Saudita, sollevando interrogativi sui suoi criteri di adesione e sul ruolo della sua Nuova Banca di Sviluppo. Ma un BRICS-Plus più grande e più influente creerebbe davvero rischi concreti per il dollaro?
In realtà, le minacce rivolte al ruolo del dollaro nel sistema finanziario globale non sono una novità; se ne parla da decenni. I dati sembrano suggerire che, se arriverà un momento in cui gli Stati Uniti cesseranno di essere la più grande economia del mondo, solo a quel punto lo status del dollaro sarà davvero messo in discussione. C’è anche un precedente significativo in tal senso. La sterlina britannica nella prima metà del ventesimo secolo è stata abbattuta dal suo trespolo globale quando il Regno Unito è stato superato economicamente.
Occorre, poi, considerare che i recenti sviluppi macroeconomici globali stanno inducendo la maggior parte degli analisti a posticipare la data del possibile sorpasso cinese a danno degli Usa. Secondo Zhang Jun, l’attuale rallentamento del Pil in Cina è un riflesso di un nuovo approccio politico da parte del governo centrale. Invece di inseguire rapidi tassi di crescita in una fase in cui l’economia mondiale vacilla, il governo cinese sta enfatizzando la creazione di posti di lavoro e la stabilità macroeconomica. Un nemico dunque meno aggressivo (in apparenza) per il dollaro, che continua così a mantenere il suo storico primato.