L’economia russa sembra tenere, nonostante profonde difficoltà, come dimostrano le stime del Fondo Monetario Internazionale sul Pil del 2022 passate dal -8,5 per cento a -2,1.
Fino ad alcuni mesi fa ad aver tenuto in piedi l’economia era il flusso di idrocarburi che ha continuato a scorrere verso Occidente, in particolare in Europa, permettendo di sostenere il rublo e recuperare parte di capitali e riserve bloccati dalle sanzioni occidentali.
Ora il paradigma sembra essersi invertito: a soffrire è la principale industria russa, quella estrattiva – colpita dall’embargo europeo a petrolio e prodotti raffinati e dal crollo dell’export di gas naturale – mentre il resto dei settori economici stanno provando ad adattarsi alle sanzioni.
Nel mese di marzo l’indice della produzione industriale è tornato a crescere per la prima volta da un anno. E a contribuire alla ripresa non è l’industria mineraria, bensì l’industria metallurgica e la fabbricazione di prodotti in metallo, sostenute anche dagli ordini dell’esercito.
Per continuare a produrre la Federazione Russa ha tuttavia bisogno di importare prodotti, anche quelli sanzionati dai Paesi occidentali perché dual-use, che cioè possono essere utilizzati sia per scopi civili che militari.
Se questi prodotti non possono più attraversare il confine con la Russia, possono invece farlo triangolando le rotte commerciali con gli Stati che non applicano le sanzioni, la maggior parte al di fuori del blocco occidentale. I principali indiziati sono da tempo Georgia, Turchia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan.
Secondo l’elaborazione ISPI su dati Eurostat e Comtrade, dall’inizio del conflitto, le esportazioni europee verso questi Paesi sono aumentate rispettivamente del 35 per cento, 42, 221, 231 e 743. Variazioni a dir poco sospette.
In alcuni casi ci si trova di fronte a un vero e proprio ‘commercio fantasma’ come documentato dal Financial Times. Su 2 miliardi di export europeo di prodotti dual-use verso Kazakistan, Kirghizistan e Armenia solo la metà ha effettivamente raggiunto questi Paesi.
In sintesi, l’Europa ha quasi smesso di acquistare petrolio e gas russo pagando un prezzo salato, ma continua suo malgrado a sostenere la Federazione Russa con macchinari, computer e prodotti di ogni tipo in arrivo dalle sue stesse fabbriche.