Negli ultimi giorni Byd ha ridotto il costo della sua e2, portandolo a 89.800 yuan (circa 11.500 euro). Ora sono cinque i modelli di auto elettriche (Ev) della compagnia di Shenzhen in vendita sotto la soglia dei 100.000 yuan. Un’opportunità per i consumatori cinesi a basso reddito; un incubo per i produttori europei, che temono una “invasione” di macchine a batteria made in China.
Ora le compagnie cinesi vogliono infatti farsi largo anche all’estero. È in questo scenario che, il 7 marzo scorso, è entrato in vigore un regolamento dell’Ue che impone la registrazione doganale degli Ev importati dalla Cina. Una mossa che potrebbe far scattare aumenti provvisori dei relativi dazi già a luglio, in attesa del verdetto dell’inchiesta anti-sussidi avviata da Bruxelles il 4 ottobre 2023. Attualmente le auto importate nell’Ue dalla Cina sono soggette a dazi del 10 per cento, mentre quelle esportate dall’Ue pagano tariffe tra il 15 e il 25 per cento per entrare nella seconda economia al mondo.
La Cina ha rappresentato per decenni una miniera di vendite per produttori europei, statunitensi, nipponici e coreani, finché Pechino è riuscita a specializzarsi nelle batterie agli ioni di litio e ad imparare a costruire macchine elettriche meglio degli altri.
Dopo che per oltre 40 anni le grandi case automobilistiche (per l’Europa soprattutto le tedesche) hanno fabbricato nella Rpc le auto vendute ai consumatori locali, i cinesi sono pronti a saldare il conto, aggirando l’aumento dei dazi in arrivo costruendo le loro macchine direttamente nel Vecchio continente, con l’obiettivo di intercettare la domanda di Ev a prezzi abbordabili.
L’arrivo dei cinesi decreterà la fine dell’industria europea dell’auto? Una cosa sembra certa: i governi di paesi con un settore automotive più in difficoltà, come Spagna e Italia, stanno corteggiando Pechino alla ricerca di partner industriali per salvare impianti che altrimenti rischierebbero la chiusura, con relativi massicci licenziamenti.