La Cina è il primo partner commerciale di oltre 140 Paesi

La prima potenza commerciale mondiale dichiara guerra al dollaro. L’obiettivo di Pechino è ridurre i costi delle transazioni internazionali ed evitare la macchina delle sanzioni statunitensi

La Cina è il primo partner commerciale di oltre 140 Paesi

Ad oggi, il dollaro è utilizzato nel 90 per cento delle transazioni globali in valuta estera, copre il 54 per cento delle riserve mondiali in valuta estera (quota che è andata erodendosi negli ultimi anni in modo sempre più significativo), oltre il 40 per cento dei pagamenti SWIFT e circa il 50 per cento della fatturazione commerciale mondiale. In particolare, dopo un momentaneo picco tra il 2014 e il 2015, le riserve di valuta estera in dollari hanno ripreso a diminuire con una certa costanza. Se nel 2002 queste raggiungevano all’incirca il 72,5 per cento del totale mondiale, vent’anni più tardi sono scese al di sotto del 60 per cento evidenziando il trend verso una de-dollarizzazione globale ancora parziale ma presente e soprattutto crescente.

Ormai è lo yuan cinese (renminbi) l’unico vero competitor del dollaro. Da quando ha acquisito lo scettro di prima potenza commerciale mondiale, la Cina ha avviato un piano per sostituire progressivamente il dollaro nel suo interscambio di beni e servizi con gli altri Paesi. Ciò sta avvenendo per due principali motivi. Ridurre i costi delle transazioni internazionali (soprattutto quelli di conversione in dollari per commerciare con Paesi che non implicano la partecipazione di aziende statunitensi) ed evitare la macchina delle sanzioni sempre più spesso messa in moto da Washington per colpire i Paesi “nemici”.

Prima del 2000, oltre l’80 per cento degli Stati del mondo commerciavano più con Washington che con Pechino. Nel 2018, grazie all’incremento dell’import-export cinese, questo dato è crollato scendendo al 30 per cento, con Pechino divenuta nel frattempo primo partner commerciale di 128 degli altri 190 Paesi esteri. Oggi, cinque anni dopo, la Cina è il primo partner commerciale di oltre 140 tra Paesi e regioni nel mondo.

Il contrasto tra la situazione economica reale e l’architettura politico-finanziaria mondiale è sempre più evidente, e le contraddizioni tra queste due dimensioni alimentano diseguaglianze e squilibri in tutto il mondo, a partire dai Paesi in via di sviluppo. La politica di costante aumento dei tassi di interesse adottata dalla Federal Reserve per ridurre l’inflazione negli Stati Uniti ha deprezzato le valute delle economie meno avanzate rispetto al dollaro, incrementato i costi di importazione e scatenato una generale fuga dei capitali esteri da questi Paesi, sempre meno capaci di far fronte al pagamento degli interessi.

Le crescenti difficoltà di Washington, certificate anche dal recente declassamento deciso da Fitch, sono fattori preoccupanti. Anche la Cina ora non se la passa bene ma se dovesse risultare l’unica vera ancora di salvataggio per gran parte (se non la totalità) dei Paesi in via di sviluppo, sarebbe legittimo (dal punto di vista di Pechino) rivendicare una grande riforma della governance economica e finanziaria mondiale che tenga in giusta considerazione il crescente peso del suo mercato e della sua valuta. Una storia vecchia, che ora potrebbe tornare attuale.

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