Riaccendere l’inflazione mondiale. Far precipitare in recessione le economie europee. Ostacolare la rielezione di Joe Biden. Neutralizzare le sanzioni imposte dal mondo occidentale, rilanciando per ora l’economia domestica. In quanti avrebbero scommesso meno di due anni fa su uno scenario di questo tipo architettato da Vladimir Putin? La risposta è davvero in pochi. Ma tant’è.
La strategia del Cremlino sembra (al momento) funzionare. L’intesa raggiunta con l’Arabia Saudita in seno all’Opec+ ha spinto il prezzo del petrolio a oltre 90 dollari al barile. Il prezzo del gas è salito del 30 per cento negli ultimi tre mesi. Le quotazioni dell’uranio sono schizzate. I prezzi dei minerali metallici crescono.
In questa situazione è probabile che l’inflazione nei principali Paesi sviluppati smetta di scendere o addirittura ricominci a salire e induca le banche centrali a continuare ad aumentare i tassi di interesse. Il che aumenta i rischi recessivi in Europa, data la sua strutturale carenza di materie prime energetiche. Tuttavia, il peggioramento del quadro potrebbe toccare anche gli Stati Uniti, in un contesto in cui i repubblicani si mostrano sempre più reticenti a spendere altre risorse a favore dell’Ucraina.
Per Mosca, tuttavia, non è tutto rose e fiori. Quest’anno, il deficit pubblico della Federazione russa è previsto al 3,8 per cento e il debito al 17 per cento del Pil. Ma il budget federale prevede per l’anno prossimo un incremento del 25 per cento delle uscite; il governo ipotizza una forte crescita della spesa sociale, per mantenere alto il consenso, e di quella militare, che dovrebbe superare il 6 per cento del Pil.
Grazie ai buoni rapporti con una serie di Paesi “amici”, inoltre, le sanzioni imposte alla Russia sembrano non danneggiare più di tanto l’economia. Da una parte, vari Stati “satelliti” (Bielorussia, Kazakistan, Uzbekistan e Turchia) fungono da intermediari per i flussi di importazione dai Paesi occidentali. Dall’altra nazioni come la Cina e l’India hanno in parte sostituito l’Europa quali mercati di sbocco per le esportazioni russe di materie energetiche.
In questo contesto è probabile che l’anno prossimo il Pil russo cresca più di quello di molti paesi occidentali. Secondo la Banca centrale russa, nel 2024 è prevista una crescita del 2,5 per cento, mentre la disoccupazione è ora al 3 per cento. E nonostante la caduta del rublo sul mercato dei cambi, l’inflazione russa si è mantenuta su livelli non dissimili da quelli osservati nei paesi occidentali.
Sul fronte degli armamenti, poi, le riallacciate relazioni con l’Iran e la Corea del Nord assicurano la fornitura dei droni e l’approvvigionamento di munizioni.
Così senza mai neppure muoversi da Mosca, Putin è riuscito a imbastire una serie di rapporti con autocrazie più o meno dichiarate che gli permettono di mettere in difficoltà i Paesi occidentali e nello stesso tempo consentono alla Russia di resistere.
Certo, la situazione non sarà sostenibile nel lungo periodo, poiché l’enorme spesa pubblica finanziata dagli alti prezzi dell’energia non accresce la produttività del paese. Ma nel breve-medio periodo, sembra proprio di sì.