La globalizzazione è in crisi per tre ragioni principali: la Cina, la Russia e soprattutto il ruolo della finanza negli Stati Uniti e in Europa. L'idea degli Anni Novanta, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che un nuovo ordine mondiale liberale dominato dalle banche potesse portare democrazia e prosperità in Oriente si è rivelata illusoria.
In Russia la promessa di prosperità per tutti svanì in un’orgia di privatizzazioni e con la corruzione sotto il regime di Eltsin. La Cina, invece, scelse un percorso diverso: quello dell’economia basata sui consumi senza riforma politica, cosa che le consentì di sfuggire alla crisi finanziaria asiatica del 1997 proiettandola verso il boom del 2000 generato dalle materie prime.
La grande crisi, alla fine dell’era Bush, ha dato la dimensione di quanto fossero inconsistenti le fondamenta della finanza occidentale: nel decennio successivo le manovre economiche hanno distrutto l'unico progetto costruttivo dell’età neoliberista, vale a dire l’Unione europea.
La Cina non ha veramente bisogno degli Stati Uniti e la Russia può stringere partnership con i suoi vicini geografici, inclusi quelli appartenenti all’ex blocco occidentale. Bisogna comprendere che l’illusione della globalizzazione per come era stata concepita vent’anni fa è finita. E concentrarsi su un programma per far fronte alle più urgenti sfide sociali, climatiche e quelle connesse alle risorse. Il modo giusto per iniziare.