La guerra tra Russia e Ucraina ha visto l’imposizione di una serie di sanzioni alla Russia da parte dell’Ue, del Regno Unito, degli Stati Uniti e di altri attori internazionali. Tuttavia, nonostante le sanzioni siano diventate sempre più numerose e dure, la Russia ha continuato a trovare il modo di mantenere gli scambi commerciali con l’Europa (e viceversa).
Il Brookings Institute ha utilizzato i dati dell’Fmi per mappare le esportazioni degli ultimi anni effettuate da diversi Stati verso i Paesi dell’Asia centrale (in particolare, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Georgia), che si sospetta possano essere poi trasbordate in Russia.
Il Kirghizistan, in particolare, un piccolo Paese montuoso e senza sbocco sul mare, si è distinto per la forte impennata delle importazioni (provenienti soprattutto dall’Europa) a partire dal marzo 2022, quando la guerra in Ucraina era già in corso. E, non per caso, l’export kirghiso verso la Russia è passato da 353 milioni di euro nel 2021 a 0,96 miliardi nel 2022. Per dare un’idea della dinamica, secondo alcune stime, ad esempio solo il 10% delle auto importate in Kirghizistan vi rimane.
Tutto ciò, se si volesse davvero, potrebbe essere fermato estendendo le sanzioni ai paesi terzi e, così, bloccando le possibili triangolazioni commerciali. Ma i governi sono restii in tal senso perché sanno che l’economia subirebbe un duro colpo, si avvantaggerebbe la Cina, e l’occidente perderebbe altri partner in una fase in cui gli equilibri geopolitici globali si stanno spostando verso oriente. Fattori che ci ricordano quanto le sanzioni tendano ad avere più un valore politico che economico.