Tre punti spiegano come il conflitto Mosca-Kiev sia già andato ben oltre lo scontro tra Russia e Ucraina.
1. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è volato in Giappone per incontrare il suo omologo Fumio Kishida. Al di là di quanto lasciano trasparire le prime dichiarazioni, secondo cui i colloqui si sarebbero incentrati sulla cooperazione commerciale, l’incontro conta per altri motivi. Tokyo ha assunto una posizione sempre più risoluta rispetto alla guerra d’Ucraina: alla dura condanna delle azioni russe si è aggiunta l’immediata disponibilità ad accogliere profughi ucraini, che risalta rispetto alla tradizionale chiusura sull’immigrazione del pase nipponico. La speranza di Tokyo è che tale disponibilità sia ricambiata dai paesi occidentali con un atteggiamento più intransigente nei confronti della minaccia principale per il Giappone, ossia la Repubblica Popolare Cinese. A tal riguardo, il cancelliere tedesco si è recato in Giappone senza combinare la visita con una tappa in Cina, come invece era solita fare Angela Merkel: Scholz ribadisce così che la politica di Berlino sarà meno accomodante nei confronti di Pechino.
2. Nell’annunciare le principali esercitazioni militari dell’anno, le autorità della Difesa di Taiwan hanno dichiarato che faranno tesoro della lezione ucraina, preziosa soprattutto per affinare le tecniche di reazione a un’eventuale invasione cinese. Negli ultimi giorni un cacciatorpediniere statunitense ha attraversato lo stretto di Formosa e ieri la ministra degli Esteri britannica Liz Truss, ricalcando la postura di Washington, ha sottolineato l’importanza di fornire protezione a Taipei contro Pechino, sostenendo che la Nato dovrebbe agire in una prospettiva più globale. Il Regno Unito, che dall’inizio della guerra è in prima fila contro lo storico nemico russo, sfrutta il conflitto per rispolverare la Global Britain, avocandosi la funzione di attore sovraregionale e portavoce degli interessi statunitensi.
3. L’Indonesia ha sospeso le esportazioni di olio di palma, di cui è primo produttore mondiale (copre circa il 60% della produzione globale). Da diversi mesi a Giacarta si registra una carenza cronica di olio da cucina a base di olio di palma, con conseguente impennata dei prezzi, aumentati di oltre il 70%. “Essendo il più grande produttore di olio di palma, è paradossale che abbiamo difficoltà a procurarci l’olio da cucina” nota il presidente Joko Widodo. Spiega quindi che l’embargo totale è l’unica via percorribile, almeno finché i prezzi non scenderanno sotto le 14 mila rupie al litro (97 centesimi – nei mercati di Giacarta, ieri l’olio di palma veniva venduto tra le 19 e le 20 mila rupie al litro). La difficoltà nel reperimento di olio di palma si somma a quella dell’olio di girasole, i cui prezzi hanno raggiunto i massimi storici a marzo dopo l’inizio della guerra: Ucraina e Russia ne sono infatti i primi due produttori mondiali.