Lunedì 27 agosto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato un’intesa commerciale con il Messico. E ha ricordato che potrebbe ritirare gli Stati Uniti dal Nafta se il Canada rifiuterà la sua proposta.
Trump sa che il Canada non può dire no, anche se le condizioni generali saranno indubbiamente peggiorative rispetto a quelle fino ad ora previste dallo storico accordo tra i tre paesi firmato nel 1994.
Il premier Justin Trudeau si prepara così a fare concessioni agli Usa. Anche perché se rifiutasse il governo statunitense applicherebbe le già minacciate tariffe del 25% sulle auto. Il che sarebbe catastrofico per l’economia canadese. La stima è di una perdita di almeno 100 mila posti di lavoro.
Detto questo, il 75% delle esportazioni di Ottawa è destinato agli Stati Uniti, mentre solo il 15% delle esportazioni statunitensi giunge in Canada. In sostanza, Trudeau è costretto a negoziare con una pistola alla testa.
Ci sono ancora una serie di questioni da risolvere prima del fatidico sì, ma sembra che non siano in giro pillole avvelenate. Quelle che il Canada deve inghiottire sono “solo” amare. E, dopo tutto, se Ottawa è arrivata a questa situazione è anche per i passi falsi compiuti dal governo Trudeau sul Nafta: poteva giocare d’anticipo e non l’ha fatto. Anche la critica del primo ministro canadese a Trump per aver lasciato in anticipo il G7 in Quebec, con il senno di poi, non è stata una buona mossa.
Il Nafta è, tuttavia, necessario anche per gli Usa. L'industria automobilistica nordamericana è strettamente integrata tra i tre paesi. Il modello Ford F-150, ad esempio, sebbene sia conosciuto come un camion statunitense, ha una struttura in alluminio realizzata con metallo proveniente dal Quebec, mentre i tergicristalli e i pistoni arrivano dal Messico. Negli Stati Uniti vengono prodotti "solo" motore e trasmissione.