Le falsità della Brexit dietro al declino britannico

Nel 1950 il Regno Unito rappresentava la seconda economia al mondo. Oggi è sceso al sesto posto. E il declino non si è ancora arrestato. Da potenza globale a paese ‘normale’: la metamorfosi della Gran Bretagna

Le falsità della Brexit dietro al declino britannico

L’economia britannica è ora come l’Italia e la Grecia in termini di rischio per gli investitori, e i politici non sono stati onesti rispetto ai problemi che la nazione deve affrontare”, scrive la testata Daily Mail vicina ai conservatori, citando un ex governatore della Banca d’Inghilterra. Che le cose non girino bene per Londra lo dimostra anche il fatto che al momento sono già sette milioni le famiglie non in grado di sostenere il riscaldamento delle loro case. Per loro è stata richiesta una spesa supplementare di 14 miliardi di sterline che a fatica il governo riuscirà a trovare.

Per Londra, le difficoltà macroeconomiche attuali si sommano a quelle geopolitiche accumulate a cominciare da quel fatidico referendum del 2016. Ma alla fine il peccato originale delle bugie raccontate da Johnson e Nigel Farage con l’aiuto degli hacker del Cremlino, durante la campagna a favore di Brexit, si è ritorto contro la stessa Gran Bretagna. Ha prodotto leader mediocri (Cameron, May, Johnson, Truss) e conseguente instabilità.

In realtà la decadenza del paese appare progressiva e inarrestabile dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che, insieme alla Prima, ha drenato inesorabilmente le risorse dell’ex potenza. Ci sono state fasi di crescita durante i mandati di Margaret Thatcher, con le riforme dai costi sociali che, per esempio, nessun premier italiano potrebbe mai sostenere; ci fu l’ottimismo del laburismo moderato di Tony Blair, poi finito anche lui nel dimenticatoio. Ma – come spiega efficacemente Ugo Tramballi sul Sole24Ore - il lento mutare da potenza globale a paese ‘normale’ non si è mai arrestato.

La più grande bugia collegata alla Brexit è stata la promessa che, uscendo dall’Europa, la Gran Bretagna sarebbe tornata allo “splendido isolamento” dagli affari continentali, per riprendere il proprio ruolo nel mondo. Le cose non sono andate così. Sì, certo, resta il Commonwealth. Ma la stragrande maggioranza dei 55 membri (a cui occorre aggiungere il Regno Unito incluso) ha più rapporti economici e commerciali con l’Ue che con la Gran Bretagna.

Una constatazione che dovrebbe far riflettere i domiciliati a 10, Downing Street. Si profila infatti un ulteriore rischio all’orizzonte: oltre al ridimensionamento sulla scena globale, la disgregazione del Regno. Scozia, Irlanda del Nord, e Galles potrebbero infatti decidere di separarsi da Londra per tornare tra le braccia dell’Ue. Il prossimo governo britannico, prima che sia troppo tardi, capirà che è probabilmente l’ultima chiamata?

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