All’ombra della crisi ucraina si sta svolgendo qualcosa di rilevante. Gli Stati Uniti stanno ristrutturando la loro presenza militare nel continente. Senza stravolgerla, stanno dando nuova forma alla Nato, provando a conservare il suo tradizionale significato.
Gli Usa hanno aumentato il contingente in Polonia e in Romania di tremila unità. Stanno negoziando con la Slovacchia un accordo per accedere alle sue infrastrutture, in cambio di denaro per ammodernarle.
Ne stanno negoziando un altro simile con la Danimarca, per inviare all’occorrenza truppe nella penisola dello Jutland (o sull’isola di Bornholm, ma non in Groenlandia o alle Fær Øer).
Non casualmente, l’Ungheria in questi giorni si è detta contraria a ospitare nuovi reparti della Nato sul proprio territorio. Nelle stesse ore, l’Alleanza Atlantica ammetteva che potrebbero nascere nuove strutture militari permanenti in Est Europa.
Gli americani vogliono costruire uno schieramento militare senza soluzione di continuità nell’Europa fra i due mari (Nero e Baltico). Fra i tre, se si include l’Artico, con la Norvegia con la quale sono stati siglati accordi per una presenza in quattro basi.
I semi dunque sono stati gettati ben prima della crisi ucraina, con progetti infrastrutturali di lungo respiro come la ferrovia tra Costanza e Danzica, che tocca proprio tutti i paesi Nato confinanti con Kiev.
Gli americani non hanno quindi alcuna intenzione di lasciare l’Europa. La nuova cortina di ferro va consolidandosi selezionando i nuovi paesi perno. Di conseguenza, il nuovo assetto dimostra la crescente divisione interna alla Nato, con gli orientali e i nordici come avamposti antirussi e gli occidentali meno coinvolti nel contenimento.
Questo fattore lascia a Italia, Francia e Germania qualche margine d’azione per farsi valere altrove (per noi è essenziale il Mediterraneo) e/o per studiare posizioni comuni nel negoziato con la Russia.