Il 22 aprile doveva essere un giorno di svolta per la Russia. In quel giorno doveva celebrarsi il referendum sulla riforma che avrebbe permesso a Vladimir Putin di conservare il potere fino al 2036. Il virus, però, ha fatto saltare i piani e ha rimandato il voto a data da destinarsi.
La Russia è attualmente isolata, con più di 50 mila casi e quattrocento decessi. Le cifre sono in aumento ed è probabile che il picco dell’epidemia non arriverà prima di alcune settimane. Ma la Russia ha anche altri problemi. Il crollo del prezzo del petrolio colpisce le finanze più di quanto avesse previsto Putin quando aveva scatenato la guerra dei prezzi con l’Arabia Saudita.
E, ormai da sei anni, l’economia russa vive un clima di guerra causato dalle sanzioni imposte dall’occidente per punire l’annessione della Crimea nel 2014. Da allora Mosca ha operato una svolta autarchica e dichiarato di possedere riserve sufficienti per resistere fino a sei anni con un prezzo del petrolio a livelli bassi.
Ma il problema di Putin non riguarda tanto l’economia mondiale, quanto la situazione interna. Il malcontento sociale è un problema evidente. Putin si trova così in una situazione paradossale. Da un lato la sua assoluta leadership (i suoi critici devono accontentarsi di manifestazioni virtuali senza alcun impatto), mentre il prolungamento del suo mandato è stato già approvato dal Parlamento.
Nel frattempo il virus riuscirà a mettere in discussione il suo potere assoluto?