Le relazioni tra il gigante asiatico e il continente africano sembrano a un punto di svolta, come dimostra il significativo calo dei prestiti cinesi concessi ai paesi sub-sahariani. Ma occorre considerare che i rapporti sull’asse sino-subsahariano vanno avanti ormai da molto tempo come, ad esempio, conferma il fatto che, come ogni gennaio dal 1991, anche quest’anno il ministro degli Esteri cinese farà la sua prima visita all’estero dell’anno proprio in Africa.
Più che la scelta dei Paesi visitati e il contenuto degli annunci, conta soprattutto la forza del simbolo. Quello di un legame indissolubile con un continente che costituisce il nocciolo duro del cosiddetto “Sud globale” di cui Pechino si atteggia (giustamente) a leader. Dietro il rituale diplomatico accuratamente oliato si può tuttavia intravedere un cambio di rotta: dopo più di vent’anni di attivismo che hanno posto la seconda economia al mondo in una situazione di egemonia economica a sud del Sahara, la dinamica ha cominciato a cambiare traiettoria.
Le relazioni Cina-Africa sono “a un bivio” , osservava il Fondo monetario internazionale in una nota pubblicata ad Ottobre dello scorso anno. Una tendenza argomentata attraverso l’improvvisa riduzione dei prestiti cinesi concessi (ufficialmente) ai Paesi sub-sahariani. Nel 2022, secondo la Global China Initiative dell’Università di Boston, il flusso di crediti da Pechino verso l’Africa non ha nemmeno raggiunto il miliardo di dollari (920 milioni di euro) per la prima volta in diciotto anni. Numeri che appaiono sensibilmente ridotti rispetto al recente passato: nell’anno del picco, il 2016, le erogazioni monetarie cinesi erano giunte a 26,98 miliardi di euro.