Il recente viaggio del presidente degli Stati Uniti Joe Biden in Angola è stato solo il secondo in Africa, dopo la sua apparizione alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 a Sharm El-Sheikh. Avvenuta verso la fine della sua presidenza, la visita ha fotografato perfettamente la modesta considerazione degli Usa per il continente. Per gli Stati Uniti, l’Africa è uno scomodo teatro di rivalità strategica, che richiede attenzione solo per i suoi preziosi minerali e materie prime.
Sotto le presidenze di George W. Bush e Barack Obama, gli Usa hanno stabilito una presenza militare in più di una dozzina di paesi africani come parte di una strategia antiterrorismo ampiamente inefficace contro affiliati ad al-Qaeda e allo Stato islamico. Poi, durante la prima presidenza di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno di fatto prestato scarsa attenzione al continente.
Nonostante Biden abbia ospitato il ‘US-Africa Leaders Summit’ a Washington nel 2022, la sua amministrazione non si è preoccupata tanto del continente nero (come conferma, ad esempio, il fatto che il Bureau of African Affairs del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti è rimasto massicciamente sottofinanziato) quanto di concentrarsi sul contenimento della presenza della Cina in Africa.
Sebbene la Cina sia il terzo partner commerciale e il secondo creditore degli Stati Uniti, Washinton avvertono spesso gli africani che si tratta di un’influenza “maligna” (quella cinese) che promuove “i propri ristretti interessi commerciali e geopolitici” nel continente. È vero, la Cina a volte persegue accordi unilaterali, come ha fatto nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), e ha una base militare a Gibuti. Ma questo non è paragonabile alla schiacciante presenza militare degli Stati Uniti nella regione. Inoltre, la prima economia al mondo ha rappresentato il 16% delle vendite di armi in Africa tra il 2019 e il 2023, rispetto al 13% della Cina.
La Cina si è concentrata maggiormente sullo sviluppo, con la sua Belt and Road Initiative che ha finanziato la costruzione di strade, ponti e ferrovie in tutta l’Africa. E la Cina rimane il più grande partner commerciale bilaterale dell’Africa (ha raggiunto i 282 miliardi di dollari nel 2023) ed è quattro volte maggiore del commercio Africa-Usa. Oltre ad aver prestato ai governi africani 160 miliardi di dollari negli ultimi due decenni, i progetti sostenuti dalla Cina ora rappresentano il 20% della produzione industriale africana e quasi un terzo dei nuovi progetti infrastrutturali per un valore di oltre 50 milioni di dollari. Nonostante tutto ciò, la stragrande maggioranza del debito africano è collegato a creditori occidentali. Solo sette dei 22 paesi africani in difficoltà debitorie devono più di un quarto del loro debito pubblico alla Cina.
Inoltre, in materia di governance globale, gli Stati Uniti hanno spinto per due seggi permanenti africani nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; ma questi seggi non avrebbero il potere di veto di cui godono gli altri membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito). È anche vero che all’Africa subsahariana è stato assegnato un 25° seggio nel Consiglio esecutivo del Fondo monetario internazionale lo scorso luglio (anche se, ad esempio, il Messico ha comunque ricevuto più prestiti dal Fmi nel 2024 anno scorso di tutti i 55 paesi africani messi insieme). Ma le istituzioni dominate dagli Stati Uniti come la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale del commercio rimangono ostili alla sospensione del debito e ad iniziative commerciali che andrebbero a beneficio dei paesi africani.