La maggior parte delle banche centrali sta tagliando i tassi di interesse. Non quella russa che nelle scorse settimane li ha alzati al 21%, il massimo da due decenni e, nonostante si trovi ad affrontare uno dei regimi sanzionatori più severi della storia moderna, la Federazione ha registrato una crescita del 3,6% nel 2023 e si prevede che quest’anno manterrà questo ritmo.
Tuttavia, più che una dimostrazione di forza, la decisione della banca centrale di alzare i tassi di interesse potrebbe rivelarsi un avvertimento dei problemi che verranno. Nel complesso, le spese annuali per la difesa e la sicurezza dovrebbero salire a 170 miliardi di dollari, un importo che rappresenta oltre il 40% di tutta la spesa pubblica.
Si tratta di una cifra elevata, ma non insolita per un Paese in guerra. Durante la seconda guerra mondiale le grandi potenze destinarono il 40-60% della loro produzione economica totale a scopi militari. La differenza cruciale si trova nella politica monetaria. La Federal Reserve statunitense, ad esempio, mantenne i tassi al 2,5% durante il secondo conflitto globale. In Russia, invece, il rendimento del debito sovrano decennale è passato da circa il 6% prima della guerra al 16%.
E c’è un’altra ragione per cui il Paese è stato costretto a inasprire la politica monetaria. Per la maggior parte della seconda guerra mondiale né il Regno Unito né gli Stati Uniti hanno dovuto preoccuparsi particolarmente del valore esterno della loro valuta; tornando ad oggi, non è questo il caso di Mosca. La Cina è diventata il più importante partner commerciale della Russia, fornendo un terzo di tutte le importazioni e oltre il 90% della microelettronica, utilizzata in droni, missili e carri armati.
Mosca deve quindi tenere d’occhio il valore della loro valuta in termini di yuan; quest’anno è sceso del 10%, sfiorando il minimo dall’inizio della guerra. La Russia, a differenza degli alleati nella seconda guerra mondiale, deve affrontare una vulnerabilità esterna. È questo, più che l’inflazione, ad aver spinto i tassi di interesse a livelli record.
L’Fmi prevede che la crescita economica russa rallenti bruscamente all’1,3% l’anno prossimo. Anche la Veb, la banca statale per lo sviluppo, ha ridotto le sue stime di crescita al 2%. La necessità di mantenere il valore del rublo per pagare le importazioni cruciali è un punto di debolezza per Putin, che potrebbe presto limitare la sua capacità di combattere. Una guerra al 3% è una cosa, al 21% è un’altra.