Dopo dieci anni di crisi si sta materializzando una ripresa su scala globale: lo ha rilevato il Fondo monetario internazionale (Fmi) il mese scorso; la Commissione europea prevede per l’economia dell’area-euro finalmente un trend positivo. Ma il Prodotto interno lordo (Pil) non tiene traccia di tutti gli aspetti che caratterizzano le nostre società complesse e non analizza questioni fondamentali come il benessere economico, i livelli di istruzione e la “sostenibilità”.
La crescita in sé, misurata dal Pil, non rappresenta un indicatore capace di aiutarci a comprendere e risolvere le principali crisi del XXI Secolo, da quella della disuguaglianza a quella della Biosfera. Negli Stati Uniti il mercato azionario è in forte crescita ma sta crescendo anche il numero di americani in difficoltà economiche: aumentano i profitti societari e sono i soli ad essere misurati, mentre la realtà sociale non viene svelata dagli indicatori utilizzati dal governo per decidere politiche e azioni.
Esiste poi un paradosso europeo: gli obiettivi di finanza pubblica dettati dall’Unione europea sono tutti basati sul Pil e sono stati resi più stringenti, così ne risulta che oggi l’Ue è governata in gran parte da numeri cattivi e la democrazia è a rischio quando troppa fiducia viene riposta dai decisori politici su indicatori troppo stretti.
Quali altri indicatori andrebbero considerati? Il benessere (come crescita umana), la resilienza (come resistenza agli shock), la sostenibilità (come prendersi cura del futuro): tre orizzonti collettivi di cooperazione sociale che sono stati trascurati dal pensiero economico dominante negli ultimi trent’anni, visto che la nostra prosperità è minacciata dalla disuguaglianza e dalle crisi ecologiche. Per questo è necessario capire come può essere misurato quello che conta per gli esseri umani e valutarlo per prendersi cura di ciò che conta veramente.