Per capire le radici dell’inflazione dobbiamo guardare alle trasformazioni del sistema economico nel suo insieme. Il cambiamento più importante è stata l’espansione finanziaria che ha caratterizzato il capitalismo a partire dagli anni ottanta del Novecento.
L’aumento dei valori patrimoniali è stato il fenomeno principale, trainato dagli incrementi dei prezzi dei beni finanziari e immobiliari, in rapporto a un’economia reale che cresce lentamente e con prezzi dei prodotti manifatturieri che sono rimasti a lungo stabili.
Questi aumenti non sono rispecchiati dall’indice dei prezzi al consumo, ma hanno effetti rilevanti sui prezzi relativi e sulla distribuzione del reddito.
Sono cambiati così i rapporti tra capitale finanziario e capitale “industriale”, e quelli tra capitale e lavoro. Rendite finanziarie e logiche speculative offrono grandi opportunità di arricchimento, spesso a danno dell’economia reale, con il rischio di instabilità e crisi finanziarie, come quella del 2008.
Un’economia dominata dall’aumento di valore dei beni patrimoniali può offrire prospettive di crescita per i centri finanziari del sistema mondiale – gli Stati Uniti innanzitutto – ma al prezzo di una maggior instabilità.
Siamo (ora, ndr) di fronte a una fase di transizione economica e politica caratterizzata da elevata incertezza economica, instabilità politica, conflitti: un “caos sistemico” che potrebbe evolversi in un diverso ordine mondiale.
Le dinamiche dell’inflazione riflettono queste trasformazioni; l’aumento dei prezzi è un fenomeno soprattutto occidentale: Cina, Giappone e Taiwan hanno avuto nel 2022 tassi d’inflazione tra l’1,9 e il 2,9 per cento, il resto dell’Asia orientale ha avuto valori poco più alti.
In questa prospettiva, le politiche monetarie restrittive lanciate dalla Federal Reserve americana possono apparire anche come la nuova modalità per prolungare il modello di espansione finanziaria degli ultimi quarant’anni con al centro gli Stati Uniti, ridefinendo il terreno del conflitto economico internazionale.
Quali politiche possono affrontare l’inflazione? Si potrebbe intervenire su prezzi, mercati e strutture produttive, ma in questi anni di liberalizzazioni si è rinunciato a controllare i prezzi che aumentano in modo anormale, regolamentare i mercati dominati da oligopoli, sviluppare nuove attività.
La politica energetica, ambientale e industriale è rimasta indietro, mentre avrebbe un ruolo chiave per promuovere l’uso di fonti di energia rinnovabili, ridurre i prezzi di beni essenziali, aumentare produttività e sostenibilità dell’economia.
Le politiche che vengono oggi realizzate negli Stati Uniti e in Europa sono invece quelle restrittive: fermano tutta l’economia per fermare la crescita di alcuni prezzi. Più alti tassi d’interesse rallentano produzione, occupazione e salari e mutano gli assetti della finanza; la politica fiscale ha offerto sgravi fiscali e trasferimenti per compensare famiglie e imprese, ma si avvia ora a contenere la spesa pubblica. All’inflazione, si aggiunge la prospettiva di una recessione dell’economia, come conseguenza di politiche inappropriate.
La politica macroeconomica richiederebbe invece una forte integrazione tra misure monetarie e fiscali per guidare l’economia lungo uno stretto sentiero che eviti da un lato le spinte inflazionistiche e dall’altro i rischi di recessione e disoccupazione; che ridimensioni la ‘bolla’ della finanza evitando al tempo stesso nuovi fallimenti bancari; che crei gli spazi e le risorse per un’adeguata ristrutturazione produttiva e per la transizione ecologica dell’economia.
Sono stati qui riportati alcuni passaggi contenuti nell’introduzione al volume “L’inflazione in Italia. Cause, conseguenze, politiche”, a cura di Mario Pianta (Carocci, 2023).