I dati recenti mostrano una mancanza di ulteriori progressi sul fronte dell’inflazione. Lo afferma il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che ha anche aggiunto: “Se inflazione rimarrà alta, i tassi resteranno al livello attuale per il tempo necessario”.
Per avere fiducia su un calo sostenibile dell’inflazione verso il target del 2 per cento “ci vorrà probabilmente più tempo”, afferma il presidente della Fed. Powell da tempo segnala che la banca centrale sarà pronta a tagliare i tassi quando avrà maggiore fiducia su un calo dell’inflazione. Le sue parole sembrano indicare che la Fed manterrà i tassi alti per un periodo più lungo delle attese alla luce di una persistente inflazione.
L’inflazione stabile nell’ultimo trimestre “ha introdotto una nuova incertezza su quando e se la Fed avrà la possibilità di abbassare i tassi d’interesse più tardi nel corso dell’anno”, ha detto Jerome Powell, parlando a un forum economico.
La scorsa settimana la Bce (che storicamente si è sempre allineata alle decisione della banca centrale statunitense) aveva mantenuto i tassi invariati, anche se l’appuntamento con la sforbiciata dovrebbe essere solo rinviato al mese di giugno. A questo punto la domanda è: il disallineamento tra la politica monetaria della prima economia al mondo e quella dell’Eurozona quali effetti macroeconomici produrrà?
Lo scenario che si va delineando è di un’inflazione che difficilmente rientrerà stabilmente sotto al 2% (soprattutto in Europa) e con tassi di interesse che ci impiegheranno probabilmente anni a tornare su livelli più bassi di quelli attuali. Sembra lontano un secolo quando, pochi anni fa, gli economisti si struggevano per il fatto di non comprendere perché l’indice dei prezzi al consumo fosse così disperatamente basso. Erano gli anni dei tassi di interesse intorno allo zero e in alcuni casi negativi.