La Cina pagherà in rubli e yuan per le forniture di gas russo attraverso il gasdotto Sila Sibiry. Un accordo in questo senso è stato firmato tra il presidente della Gazprom, Alexei Miller, e quello della compagnia cinese Cnpc, Dai Houliang.
Le attuali esportazioni di gas dalla Russia alla Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia 1 sono alimentate da giacimenti di gas della Siberia orientale e la rotta dell’Estremo Oriente (via Sakhalin) è separata dalla rete europea del gas. Tuttavia, il progetto di gasdotto Power of Siberia 2 cambierà la prospettiva, fornendo a Gazprom la possibilità di alternare l’export tra Europa e Cina.
Al tempo stesso, la Cina ha progettato una totale disintermediazione dalla fornitura statunitense. Se Mosca sta slittando verso la sfera d’influenza cinese non si può non notare che Pechino si stia preparando a rompere gli equilibri globali delle materie prime, acquistando e stoccando metalli e cereali come mai nella storia recente. Ad oggi la Cina detiene il 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di quelle di alluminio, il 68% di quelle di mais e il 51% di quelle di frumento.
Ma la partita decisiva è forse quella sulle valute. I russi sono costretti a fare a meno del dollaro a causa delle sanzioni e la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, a marzo aveva ripreso a comprare oro a un prezzo fisso in rubli con l’obiettivo di stabilizzare il valore della valuta della Federazione vincolandolo a quello del prezioso metallo giallo. Poi, mutate le condizioni di mercato, ha rinunciato al vincolo. Ma tra i Paesi non sottoposti a sanzioni, qualcuno abbandonerà il dollaro?
Il ruolo chiave può recitarlo l’Arabia Saudita, primo produttore al mondo di petrolio, materia prima ancorata alla valuta americana. Anzi, lo sta già recitando visto che Riad ha già aperto alla compravendita di greggio in moneta cinese.