La storia di Stati Uniti ed Europa è speculare: per anni hanno delocalizzato una parte rilevante della loro struttura produttiva perdendo capacità ingegneristiche tecniche e manifatturiere che richiedono decenni per essere costruite.
Le scelte compiute secondo il credo neoliberista del “va dove ti porta il mercato” si sono così sono rivelate fallimentari e oggi la Cina ha un grande vantaggio competitivo: può vantare il superamento degli Stati Uniti come leader mondiale nella domanda di brevetti e nel numero di pubblicazioni scientifiche.
Un aspetto fondamentale dell’economia americana è oggi la concentrazione del capitale finanziario in poche mani. Grazie alla loro posizione centrale nella finanzia globale, i tre più grandi fondi di investimento Usa gestiscono da soli quattro volte il Pil della Germania, controllano 4 azioni su 10 delle principali società statunitensi e possono condizionare ogni tipo di attività: produzione, distribuzione di beni e servizi, trasporti, cure mediche, ricerca, etc.
La differenza tra l’economia finanziarizzata, guidata da finanzieri, avvocati e lobbisti, e quella reale, in cui servono ingegneri, competenze e risorse naturali, si è resa palese ed è la causa degli squilibri in atto.
La Cina sta ottenendo l’egemonia globale sul piano economico, ben più solido ed esteso di quello militare, mentre l’Europa ha sbagliato due volte: affidarsi al credo neo-liberista, pensando che le avrebbe assicurato il primato sul mondo e un benessere duraturo, e rinunciare a un ruolo di ponte tra l’alleato americano e il mondo emergente oltre le sue frontiere.
Sarà su questo che si giocheranno i prossimi confronti che dovranno tenere conto del nuovo assetto economico mondiale in cui l’Occidente, e l’Europa in particolare, dovrà necessariamente ridimensionare il suo ruolo.
Abbiamo qui riportato alcuni passaggi di un articolo firmato da Piergiorgio e Francesco Ardeni e Sylos Labini, e pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” e “Roars”.