L'economia sarà un fattore decisivo nel prossimo voto del 24 giugno, che trasformerà la Turchia da sistema parlamentare a presidenzialista, in linea con le modifiche costituzionali approvate nel referendum dello scorso anno, in virtù del quale il nuovo capo dell'esecutivo avrà poteri significativamente rafforzati.
Nel paese sussiste ancora lo stato di emergenza, in vigore dal luglio 2016 in seguito al fallito colpo di stato del movimento di Fethullah Gulen, un leader religioso autoesiliato negli Stati Uniti.
La lira turca è scesa di oltre il 20% rispetto al dollaro Usa quest'anno, spingendo la Banca centrale ad alzare i tassi di interesse più volte per sostenere una delle valute peggiori al mondo. Per Recep Tayyip Erdoğan è colpa dei "poteri stranieri" che tentano di manipolare l'economia. Ha chiamato i tassi di interesse "madre e padre di tutti i mali" e ha invitato la banca centrale del suo paese in molte occasioni a ridurli, anziché alzarli come poi ha fatto. Nel frattempo sia l'inflazione che il deficit delle partite correnti sono in aumento.
Eppure, quando il partito di Erdogan andò al potere nel 2002, l'economia turca soffriva di alta inflazione e disoccupazione. Ma negli anni seguenti era riuscito a trasformare il paese in un’economia emergente, spingendo la crescita attraverso il commercio e gli investimenti esteri. Secondo l'Fmi, l'economia della Turchia crescerà del 4,3% nel 2018 e nel 2019, dopo aver registrato il 7,4% lo scorso anno. Quella del 2017 è stata la seconda miglior performance, dopo l'Irlanda, tra i 37 paesi membri dell’Ocse.
La Turchia ha mantenuto lo stesso tasso nel primo trimestre del 2018 su base annua. Tuttavia, il suo Pil è diminuito da 863 miliardi di dollari rilevato un anno fa a 851 mld quest'anno, riflettendo il significativo calo della valuta contro il dollaro. E l'inflazione è salita all'11,9% l'anno scorso, la più alta dal 2004. Mentre la caduta della lira ha reso le importazioni più costose e ha spinto in alto i costi di produzione, gli investimenti esteri diretti sono diminuiti. L'anno scorso sono scesi al livello più basso dal 2010, a 10,8 mld.
La motivazione non va probabilmente ricercata nell’economia, quanto nel deterioramento delle relazioni tra Erdogan e l’occidente. È un problema di fiducia, che si sta sgretolando e che gli indicatori macroeconomici non riescono a raccontare. Non potrebbe essere altrimenti in un paese dove la libertà individuale è un concetto relativo e centinaia di giornalisti sono dietro le sbarre con accuse farneticanti. Eppure, fino a pochi anni fa, la Turchia sembrava ad un passo dall’ingresso nell’Ue. Nel frattempo, tuttavia, il mondo ha preso un’altra direzione, verso oriente. Ecco perché, agli occhi di Erdogan, l'Unione europea è diventata meno interessante.