Il governatore della Banca centrale cinese Pan Gongsheng ha dichiarato questa settimana che “il Pil cinese raggiungerà l’obiettivo di crescita del 5 per cento anche nel 2023”. Secondo l’Ocse, invece, il Dragone crescerà del 4,7 per cento nel 2024 a causa della riduzione dei consumi e dell’indebolimento delle attività nel settore immobiliare, con il rischio di generare “ripercussioni globali”.
Due visioni opposte: una (prevedibilmente) ottimistica, l’altra molto meno. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la crescita cinese mette a segno percentuali positive dal 1977 (fonte: My Data Jungle), raggiungendo per alcuni anni tassi a doppia cifra e altri exploit. Ad esempio nel 2020, anno del Covid, la Repubblica Popolare Cinese (Rpc) è stata l’unica economia a crescere segnando un aumento del Pil pari al 2,3 per cento.
È altresì vero che, al pari di tanti altri Stati asiatici, la Rpc è partita da uno scarso tenore di vita e da livelli piuttosto bassi di progresso sociale, perciò nella sua fase di sviluppo è cresciuta più rapidamente rispetto ai Paesi occidentali. Non a caso, la classifica dell’Ocse è oggi guidata da India e Indonesia. L’apparente “rallentamento dell’economia cinese” potrebbe dunque essere frutto di una crisi interna, ma anche di una possibile stabilizzazione raggiunta dopo anni di sviluppo.
Questo è il punto centrale attorno al quale ruotano tre scenari possibili sul futuro dell’economia cinese. Primo: si stabilizzerà nei prossimi anni intorno al 5 per cento di crescita annuale. Secondo: il trend decrescente avviato nel 2011 non arresterà la sua corsa e il Pil scenderà sotto la soglia del 5 per cento. Terzo: tornerà a salire, posizionandosi stabilmente tra il 5 e il 10 per cento. Come detto, un dato è invece certo: il Dragone da 12 anni è entrato in una fase calante, di cui non si intravvede il punto di arresto.
Sempre secondo l’organizzazione internazionale parigina, tra il 2023 e il 2024 la crescita economica del Vecchio Continente non supererà l’1 per cento. In Italia come in Germania e in Francia pesano l’inflazione, la bassa crescita salariale e la rimozione del sostegno fiscale fornito in seguito alle recenti crisi.