Una delegazione cinese del massimo livello, guidata dal vice premier Liu He, è a Washington per tentare di mitigare la politica tariffaria della Casa Bianca nei confronti delle merci del Dragone. Ma le speranze di un allentamento del braccio di ferro sono minime, visto che lunedì 7 ottobre gli Stati Uniti hanno ampliato la lista nera cinese con otto aziende tecnologiche e altre 20 istituzioni finanziarie e commerciali.
L'ultimo rapporto della Banca Mondiale certifica due cose: che l'economia cinese è in (relativo) affanno e che la colpa è in gran parte proprio degli extra-dazi statunitensi. “I rischi al ribasso per le prospettive [economiche] sono elevati, derivanti da un'ulteriore escalation delle tensioni commerciali Cina-USA e da una prospettiva globale più debole del previsto”, scrivono i tecnici della BM con sede a Washington.
Ed eccole le previsioni dello stesso istituto. Quest'anno la crescita del Pil cinese sarà del 6,1%, la minore da quasi un trentennio, e con un taglio dello 0,1% rispetto alla previsione di aprile. La parabola di crescita discendente è confermata anche per il 2020, al 5,9% che rappresenta un taglio dello 0,3% sulle precedenti stime, e per il 2021, al 5,8.
La crescita prevista per il 2019, come detto il 6,1% si inserisce nella parte bassa della forchetta prevista dallo stesso governo di Pechino, pari al 6 – 6,5%. C'è da rilevare che la Banca Mondiale rivede al ribasso le stime per quasi tutta l'Asia e sempre per lo stesso motivo: i danni diretti e indiretti dei dazi Usa sulle merci cinesi, che causeranno contraccolpi anche nelle economie circostanti. Per il 2019 i tagli previsionali più pesanti sono quelli per le Filippine, -0,6%, e per la Thailandia, -1,1%.