Il Medio oriente è sulla via per diventare “il bancomat del mondo”. Così il Wall Street Journal descrive il nuovo ruolo che le monarchie del Golfo si stanno ritagliando su scala globale. Due punti stanno favorendo questa dinamica. Da una parte la sempre maggiore difficoltà per gli investitori nell’accesso ai capitali a causa del sensibile incremento dei tassi interesse, dall’altro gli abnormi introiti garantiti agli Stati del Golfo dal petrolio.
Ormai bussare alle porte di quest’ultimi è diventata quasi una scelta inevitabile. Come dimostra quanto avvenuto all’ultima conferenza del Public Investment Fund, il fondo sovrano multimiliardario di Riad. In uno dei panel sedevano due delle figure più pesanti della finanza mondiale: il numero uno di Blackstone Stephen Schwarzman e Ray Dalio, fondatore di Bridgewater, e che insieme valgono da soli oltre mille miliardi di dollari di asset gestiti.
“La ricerca di capitali è diventata davvero molto più difficile negli ultimi 12 mesi”, sottolinea al quotidiano statunitense Brenda Rainey la vice presidente di Bain & co, advisor di numerosi fondi di private equity. A questo elemento e alla corsa dei prezzi energetici si aggiungono anche le ambizioni che il regno saudita ha da tempo messo in evidenza per ritagliarsi uno spazio in una più ampia dimensione globale, non solo finanziaria, passando dalla geopolitica per arrivare allo sport.