Nonostante un Pil annuo superiore all’8%, l’India rischia di deflagrare

Sotto accusa è finita l’incompetenza economica del premier Narendra Modi. Eppure il paese può contare su un notevole dividendo demografico che tuttavia ora rischia di trasformarsi in un boomerang

Nonostante un Pil superiore all’8%, New Delhi rischia di deflagrare

Sono passati 75 anni dall’indipendenza, ma l’India sembra aver tradito la promessa di diventare una potenza economica. Nel 2019, il primo ministro Narendra Modi aveva parlato di costruire un colosso da 5 trilioni di dollari entro il 2025. Ma con tre anni a disposizione, e il Pil annuo che attualmente viaggia sui 3,1 trilioni di dollari, è difficile trovare qualcuno che creda ancora di poter raggiungere questo obiettivo.

Eppure, il Subcontinente ha dalla sua parte un elemento demografico non di poco conto (come più volte sottolineato dallo stesso Modi): l’età media è di 28 anni, rispetto ai 37 della Cina e degli Stati Uniti, e ai 49 del Giappone. Inoltre, più di due terzi dei suoi 1,4 miliardi di persone sono in età lavorativa.

Invece, l’economia è inciampata: la crescita del PIL ha cominciato a decelerare dal 2017, l’inflazione è in aumento e la disoccupazione ha toccato il 23,5% ad aprile 2020. L'India ha attualmente 53 milioni di disoccupati e il suo tasso di partecipazione alla forza lavoro è diminuito dal 58% nel 2005 a solo il 40% nel 2021 – uno dei livelli più bassi al mondo.

Sotto accusa è così finita l’inettitudine economica di Modi, leader del secondo paese più popoloso al mondo dal 2014. Consumi, investimenti privati ed esportazioni sono rimasti sotto le aspettative (e da ben prima della pandemia) e il governo non è riuscito a fornire uno stimolo fiscale significativo per porre fine al rallentamento.

Solo lo scorso primo febbraio, l’esecutivo ha varato un poderoso piano di stimoli al settore pubblico. Ma ciò comporterà un incremento del deficit/Pil al 6,4% e un indebitamento record.

Nel frattempo, il settore agricolo indiano è in crisi. E anche le riforme proposte dal governo, tra le quali quella del lavoro, sono rimaste inattuate.

In più, la pandemia ha spinto Modi a proclamare l’atma-nirbharta (autosufficienza) come obiettivo economico, aumentando il rischio che il crescente protezionismo commerciale ostacoli l’integrazione dell’India nelle catene di approvvigionamento globali. Modi ha imposto più di 3.000 aumenti tariffari che colpiscono il 70% delle importazioni indiane. Sotto il precedente primo ministro, Manmohan Singh, il paese aveva stipulato 11 accordi commerciali. Sotto Modi, neanche uno.

Barlumi di speranza arrivano invece da giovani imprenditori indiani, che hanno creato centinaia di aziende e più di 40 start-up unicorno (ovvero del valore superiore a 1 miliardo di dollari) nell’ultimo anno.

La Banca Mondiale prevede che il Pil domestico aumenterà dell’8,3% nell’anno fiscale in corso che termina a marzo e dell’8,7% nei successivi 12 mesi. Numeri stratosferici per le economie avanzate, ma non per l’India. A meno che non si torni su tassi di crescita del 9% o più, il Subcontinente rischia di ritrovarsi con una massa di giovani, scarsamente istruiti, disoccupati e arrabbiati. Se l’incompetenza economica del governo continua, le speranze di un dividendo demografico potrebbero trasformarsi in un incubo.

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