Il Kenya ha avviato, ufficialmente, la costruzione del Mombasa Gateway Bridge: un progetto per saldare l’isola omonima alla costa meridionale del Paese, celebrato dalle autorità di Nairobi come il “ponte più lungo dell’Africa”.
L’infrastruttura sarà realizzata in collaborazione con il governo giapponese e sfrutterà un prestito da 47 miliardi di scellini kenioti, pari 268 milioni di euro, accordato dall’Agenzia per la cooperazione internazionale di Tokyo nel 2019. L’obiettivo è rimpiazzare un servizio di traghetti attivo dal 1937 del secolo scorso.
Secondo uno studio di fattibilità pubblicato nel 2019 dal Kenya National Highway Authority, l’autorità competente in Kenya, i tempi di realizzazione previsti si aggirano sui tre anni. Il costo complessivo diramato allora è di 82 miliardi di scellini locali, pari a poco meno di 470 milioni di euro al tasso di cambio corrente. Il prestito concesso da Tokyo si spalmerà su 28 anni, con un periodo di tolleranza di 12 anni aggiuntivi rispetto alla scadenza ufficiale.
Il Giappone è in realtà coinvolto da oltre mezzo secolo in “grandi progetti” nella rete infrastrutturale della prima economia dell’Africa orientale. Un’analisi di Business Daily, una testata finanziaria keniota, stima che il totale di impegni nipponici nel Paese superi i 4 miliardi di dollari americani: un pacchetto di prestiti e sovvenzioni che tocca le zone economiche speciali di Dongo Kundu, il progetto di sviluppo del porto di Mombasa, l’arteria stradale Mombasa Southern Bypass e, appunto, il maxi-ponte atteso nell’arco di 36 anni.
Tokyo sta intensificando il suo interesse politico e finanziario sulla regione subsahariana, anche in reazione all’offensiva della Cina sul Continente. Tuttavia, secondo i dati della Banca africana di sviluppo, gli investimenti esteri diretti del Giappone in Africa subsahariana sono scivolati dai 10 miliardi di dollari del 2016 ai 4,7 mld del 2020, in piena crisi pandemica. Nel 2021 si è registrato un primo rimbalzo a 6 mld, con l’attesa di crescita nell’anno in corso.