La popolazione mondiale dovrebbe aumentare del 18,5% nei prossimi 20 anni (superando i 9 miliardi) e del 38,2% nei prossimi 60 anni (oltrepassando i 10,5 mld).
Tuttavia, i dati evidenziano un’Europa in controtendenza. Escludendo Russia e Turchia, il vecchio continente conta oggi poco meno di 750 milioni di abitanti, destinati a scendere a 730 mln nel 2039 e 650 mln nel 2079. In modo particolare, l’Italia risulta il paese più esposto al declino: gli attuali 60,4 mln di abitanti sono destinati a diventare 59,4 mln tra venti anni (-1,8%) e 55,4 tra quaranta (-8,2%).
Come spiega il demografo Antonio Golini, se un paese arriva ad avere una percentuale di ultrasessantenni pari o superiore al 30% della popolazione totale, allora quel paese – a meno di una massiccia immigrazione – raggiunge un punto di non ritorno demografico. Ebbene, se nel 2018 gli ultrasessantenni erano 16,6 mln, pari al 27% della popolazione totale (60,5 mln), secondo le previsioni demografiche dell’Istat il 30% dovrebbe essere superato fra appena quattro anni (2023). Nel 2030, tra un decennio, gli over 60 saranno 20,1 mln (+3,5 mln), mentre la popolazione complessiva sarà lievemente diminuita (60 mln). Saremo di meno, dunque, ma con più anziani; già oggi, peraltro, siamo il paese più anziano dopo il Giappone.
E se diminuiscono i giovani, diminuisce l’offerta di forza lavoro, creando veri e propri vuoti in alcuni settori. L’impatto maggiore, però, ricadrebbe probabilmente sul sistema previdenziale: se oggi il rapporto tra lavoratori e pensionati è di 3 a 2, l’Ocse stima che nel 2050 si raggiungerà quota 1 a 1.
Va ricordato, inoltre, che gli effetti dei cambiamenti demografici hanno tempi molto lunghi. Allo stesso modo, un aumento significativo della natalità produrrebbe effetti tangibili nel mercato del lavoro e nel sistema produttivo solo fra 20-30 anni. “Il dibattito quindi non si dovrebbe limitare ai possibili rimedi nel contrastare il calo demografico (necessari, ma con effetti solo nel lungo periodo) – spiegano Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin - ma sarebbe urgente programmare i cambiamenti che già ora si rendono necessari, a partire da scuola, lavoro e appunto pensioni”.