Il 2019 si è chiuso con una doccia fredda di dati congiunturali. Il Pil del quarto trimestre è sceso dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, con il dato per il 2019 rispetto al 2018 che si attesta a un deludente +0,2%. Anche l’Eurozona fa segnare un +0,1%, con la Francia in contrazione e la Germania vicina a zero, mentre in territorio positivo resta solo la Spagna (+0,5% sul trimestre; +1,8% rispetto allo stesso mese del 2018).
Il calo del quarto trimestre arriva dopo qualche trimestre di crescita allo “zero virgola” dell’economia italiana che non riesce a schiodarsi dallo zero. In più, anche i dati di dicembre del mercato del lavoro sono stati negativi. E la produzione industriale, dalla metà del 2018, mostra quasi sempre segni negativi rispetto ai dodici mesi precedenti.
Sebbene viviamo in un mondo digitale, in cui il grosso del Pil e dei posti di lavoro nasce nei servizi, vale ancora la regola: senza industria non si cresce. E, senza Pil, la disoccupazione non scende in modo sistematico. “Nemmeno il più brillante dei decreti legge può creare lavoro se manca la crescita”, spiega l’economista Francesco Daveri.
I brutti dati di fine 2019 su Pil, industria e lavoro, quantomeno, fissano i potenziali argomenti di una eventuale verifica di governo che non sia orientata solo alla sopravvivenza dell’esecutivo.
Ragionare sulla crescita implica anche rispondere alla domanda: come si fa a indurre le imprese – italiane e non – a fare impresa e industria in Italia? “La risposta non può consistere solo nel trovare una soluzione assistenziale ai casi Whirlpool, Alitalia ed ex-Ilva”, aggiunge Daveri.