La Tav non sarà pronta entro il 2030, secondo la Corte dei Conti europea. Quindici anni di ritardi, costi cresciuti (+85%, da 5,2 mld a 9,6 mld secondo l'Istituzione dell'Ue) e soprattutto un quadro di sostenibilità incrinato dalle previsioni di traffico dei prossimi anni. Sono queste le principali obiezioni che arrivano dall’organo deputato a vigilare sulla spese dei fondi europei e sull’avanzamento dei grandi progetti finanziati da Bruxelles.
Obiezioni a cui ribatte Telt, il promotore pubblico incaricato di costruire e gestire l’infrastruttura: “L’aumento dei costi si riferisce a uno studio preliminare effettuato da Alpetunnel negli anni ‘90, che riguardava una galleria di base con una sola canna, anziché le due attuali diventate obbligatorie per le normative di sicurezza. Il costo finale è stato certificato da un soggetto terzo a 8,3 mld in valore 2012, convalidato e ratificato dagli Stati e ad oggi pienamente confermato”.
Secondo il ministero delle Infrastrutture italiano (che ha proceduto a valutarne nuovamente i meriti nel 2018), il valore attuale netto dell’investimento vale tra i -6,1 mld e i -6,9 mld. “Ancora una volta, i costi per la società sarebbero molto più alti dei benefici derivanti dalla costruzione”, spiega la Corte dei conti.
Anche sul fronte dei benefici, si legge nel rapporto, c’è il rischio che quelli ambientali siano stati sovrastimati.