Approvare la riforma del Mes senza poi usare i fondi è una ‘supercazzola’. Ecco perché

Gli economisti Brancaccio e Realfonzo: “Il nuovo Mes dovrebbe anche aiutare la Bce ad abbandonare il ruolo di disciplinatore del mercato. Ciò condurrà a una risalita dei tassi mettendo in difficoltà gli Stati più fragili fino alla crisi finanziaria. Presto o tardi, questi paesi saranno costretti a chiedere l’attivazione del Mes”

Approvare la riforma del Mes senza poi usare i fondi è una ‘supercazzola’

Post firmato dagli economisti Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo

L’attuale controversia sul Meccanismo europeo di stabilità sembra guidata da bande di ultras scarsamente interessate alla realtà dei fatti. In questi mesi la disputa si è arenata intorno un possibile prestito limitato al settore sanitario. Da pochi giorni, però, il dibattito ha improvvisamente virato sulla questione principale: la riforma complessiva del Mes che regolerà i prestiti europei in caso di crisi finanziaria. È un fatto che riguarda non trecento milioni ma la gestione complessiva di un eventuale default, statale e bancario, di decine di miliardi.

Il punto è che diversi esponenti politici e lo stesso ministro dell’Economia hanno dichiarato che se il Parlamento vota a favore della riforma del Mes, ciò non implica che in futuro utilizzeremo i prestiti del Meccanismo. Si tratta di una posizione illusoria.

Tutto parte dal ruolo attuale della Banca centrale europea. Benché gli sia impedito di agire da prestatore di ultima istanza in grado di finanziare direttamente la spesa pubblica – come avviene negli Usa e in altri paesi – l’istituto di Francoforte sta comunque svolgendo quello che Paul Davidson avrebbe definito un ruolo di “market maker”. Vale a dire, la Bce sta agendo da disciplinatore dei mercati, da domatore che addomestica la bestia della speculazione.

Il motivo per cui non abbiamo ancora assistito a un’ondata di vendite sul mercato di titoli italiani, spagnoli, portoghesi, persino francesi, e per cui al contrario gli oneri del debito si sono ridotti, è che la Bce quei titoli li sta comprando in massa. Il banchiere centrale interviene cioè discrezionalmente nel mercato secondario, fuori da una logica di mercato e dagli schemi della capital key, manipolando l’intera struttura dei tassi d’interesse. Questo significa fare il “market maker”.

Gli economisti competenti in tema sanno che questo ruolo non convenzionale del banchiere centrale dovrà esser preservato a lungo se si vorrà evitare uno spaventoso avvitamento della già tremenda crisi in corso. Il problema è che vedere la Bce agire da disciplinatore dei mercati non piace affatto agli operatori sui mercati e ai loro rappresentanti. Tra questi vi sono anche gli architetti del Mes riformato, da Klaus Regling a Rolf Strauch. Questi non fanno mistero di intendere la riforma del Mes come un altro dei tasselli per il completamento dell’Unione e per la connessa “normalizzazione” della politica monetaria.

In altre parole, il nuovo Mes e le altre riforme in corso dovrebbero anche aiutare la Bce a ritirarsi dalle funzioni di “market maker”, permettendole di abbandonare finalmente il ruolo un po’ “sovietico” di disciplinatore del mercato. In tal modo, saranno piuttosto il mercato e le forze della speculazione a “disciplinare” nuovamente gli stati dell’Unione, come accadeva ai vecchi tempi.

Non è difficile prevedere gli esiti a cui porterà un simile progetto. L’implementazione del nuovo Mes e la connessa “normalizzazione” della politica monetaria condurranno a una progressiva risalita dei tassi d’interesse e dei loro differenziali. Questo cambio di scenario metterà in crescente difficoltà gli stati membri più fragili, innescando processi di insostenibilità del debito e di instabilità del sistema bancario, fino alla crisi finanziaria. Presto o tardi, quindi, questi paesi saranno inevitabilmente costretti a chiedere l’attivazione del Mes.

E poiché nelle regole del Mes riformato è evocata l’ipotesi sia di ristrutturazione del debito pubblico sia di perdita per azionisti e obbligazionisti delle banche, questa semplice evocazione alimenterà ulteriormente le vendite sui mercati e renderà quindi ancor più inevitabile il ricorso ai prestiti Mes, che ovviamente restano condizionati al ritorno dell’austerity. L’Italia, inutile precisarlo, è tra le prime cavie destinate a sperimentare questa funesta sequenza deflazionistica.

Qualcuno potrebbe arditamente obiettare che non vi è una relazione necessaria tra la riforma del Mes e la normalizzazione della politica monetaria. Ma questa replica sarebbe ingenua. Chi conosce la storia dell’unificazione europea sa bene che il Mes nasce espressamente come istituzione “cuscinetto” necessaria a proteggere la Bce da ogni tentazione di trasformarla in un “market maker”. La riforma del meccanismo va esattamente in questa direzione. Pertanto, sostenere che si può approvare la riforma del Mes senza ricorrere ai prestiti del Meccanismo è una posizione politica illusoria.

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