Il Sudafrica ha rappresentato per anni una luce di speranza nel continente africano. Quando ha realizzato la faticosa transizione verso una democrazia multirazziale nel 1994, dopo aver superato l'apartheid, i sudafricani erano fiduciosi in un nuovo futuro.
Nelson Mandela, il primo presidente nero del Sudafrica, ha guidato il paese verso un processo di riconciliazione, che mirava ad alleviare le ferite lasciate dal duro sistema di segregazione razziale sotto il dominio delle minoranze bianche.
Ma il Sudafrica di oggi è caratterizzato da una disuguaglianza crescente tra bianchi e neri, nonostante la povertà sia diminuita. E quella che un tempo era la potenza economica del continente africano è ora diventata instabile. Molti sudafricani si chiedono cosa sia andato storto. Perché i bianchi detengono ancora la maggior parte della ricchezza anche se sono in netta minoranza?
L'esecutivo di Mandela aveva posto le basi per un sistema giudiziario indipendente e una costituzione moderna. Ma sotto il suo successore, Thabo Mbeki in carica dal 1999 al 2008, le istituzioni indipendenti hanno perso il loro smalto. Mbeki è stato, così, estromesso dal suo partito, l'African National Congress, e sostituito da Jacob Zuma. Ma non è andata meglio, visto che Zuma è stato costretto a dimettersi lo scorso febbraio travolto dalle accuse di corruzione. È, quindi, giunto il momento di Cyril Ramaphosa.
La maggioranza del paese attende di capire se sarà in grado, almeno lui, di prendere in mano l'eredità lasciata da Nelson Mandela.
Eppure il Sudafrica ha un potenziale economico enorme. O, forse, è proprio questo il problema: lo sfruttamento delle risorse naturali adoperato dai giganti minerari in accordo con le istituzioni locali. Così, dopo una sequela di presidenti neri, i sudafricani cominciano a capire che non è solo una questione di pelle.