A prima vista sembra tutto fantastico. L'economia israeliana crescerà nel 2018 del 3,3%. In più, 83,5 miliardi di euro di investimenti diretti esteri si stanno riversando nel paese e il tasso ufficiale di disoccupazione è pari al 3,6% - il livello più basso dagli anni '70. E con un Pil procapite, secondo l’Ocse, pari a 38.428 dollari a persona.
Il modello israeliano è notoriamente basato sulle industrie high-tech. Ma Karnit Flight, governatore della Banca centrale israeliana, non crede che affidarsi troppo al settore tecnologico sia una buona scelta. Anche perché, per Flight, la locomotiva economica del paese – il comparto tech - sta trainando vagoni decrepiti.
Ma non è tutto qui. Le infrastrutture non hanno tenuto il passo con i tempi. Per decenni è stato investito troppo poco nell’istruzione. La disuguaglianza è cresciuta. Gli affitti a Tel Aviv e Gerusalemme stanno diventando quasi insostenibili per un numero sempre maggiore di israeliani.
Nonostante ciò, le università israeliane continuano a essere leader mondiali nella ricerca. Il motivo risiede nel fatto che il paese sta ancora beneficiando degli investimenti e dello sviluppo generati nel passato. Questa spinta, però, sembra ormai vicina al capolinea.
L’alta formazione della forza lavoro e la ricerca accademica restano i fattori chiave per lo sviluppo nel lungo periodo. Una lezione che i fondatori di Israele avevano ben compreso, ma che ora sembra essere stata dimenticata dal governo del paese.