La Corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto il senatore Marcello Dell’Utri, “per non avere commesso il fatto”, e gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, “perché il fatto non costituisce reato”. Pena leggermente ridotta a 27 anni al boss Leoluca Bagarella; confermati i 12 anni al medico mafioso Antonino Cinà, fedelissimo di Bernardo Provenzano.
Rispondevano del reato di minaccia a un corpo politico. La trattativa, ma intesa come dialogo per fare cessare la stagione delle bombe e degli attentati, senza alcuna concessione da parte dello Stato, non fu reato.
Politici e carabinieri assolti, quindi, e mafiosi condannati. Per i giudici d’appello, dunque, la trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia, almeno quella delineata dall’accusa - quale manovra che agevolò il ricatto di Cosa nostra allo Stato - non ci sarebbe stata, se non intesa come dialogo per fermare le stragi e finalizzato - come quello avviato con Vito Ciancimino - a successi investigativi quali la cattura di Totò Riina, senza alcuna concessione, per cui “non costituisce reato”.
La minaccia della mafia invece c’è stata, ma non è stata veicolata alle istituzioni le quali non avrebbero comunque ceduto.