La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia ha emesso un mandato di arresto per il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e il suo Commissario per i diritti dei bambini Marija L’vova-Belova per deportazione illegale di minori ucraini.
Secondo i giudici istruttori, vi sono “ragionevoli motivi per ritenere che i sospettati siano responsabili del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, a danno dei fanciulli ucraini”. Si stima che i bambini ucraini deportati dall’inizio dell’invasione russa siano circa 6 mila.
Mosca ha immediatamente bollato come insignificante la decisione della Cpi, cui aderiscono 123 Stati. Infatti, al pari degli Stati Uniti (e della stessa Ucraina), la Russia non riconosce la giurisdizione della Cpi, non avendo mai ratificato lo statuto di Roma del 1998.
Tuttavia, la decisione della Cpi complica i viaggi all’estero di Putin e conferma la rottura diplomatica tra Occidente e la Federazione Russa, sebbene la reazione di Washington sia stata piuttosto freddina (al di là delle parole di circostanza pronunciate da Biden): gli Stati Uniti temono di poter essere anche loro chiamati a rispondere dei crimini commessi nelle guerre condotte negli ultimi trent’anni?