L’Expo 2030 sta diventando un intrigo. Roma corre per l’assegnazione insieme alla saudita Riad, alla coreana Busan e all’ucraina Odessa. Dopo lo scandalo scoppiato all’Europarlamento su presunti regali, mazzette e pressioni da parte del Qatar per ottenere i mondiali di calcio ora in corso è scattato il campanello d’allarme.
Come insegna l’esperienza qatariota, è forte il timore per la forza non solo economica dei sauditi, che si traduce in un’illimitata quantità di denaro ma anche in rapporti intrecciati alle forniture energetiche e a più complessi aspetti geopolitici. Tuttavia, in termini assoluti, il Pil dell’Italia è poco inferiore ai due trilioni di dollari, quello saudita viaggia sui 700 miliardi. Se si guarda invece al Pil procapite le differenze si riducono: rispettivamente, 32mila e 20mila dollari (fonte: My Data Jungle).
Nel frattempo, le delegazioni di Busan e Odessa avrebbero sottolineato al Bureau international des Expositions (Bie) di Parigi – l’istituto che assegna la manifestazione - che “Ryad si muove in maniera parallela” rispetto alle regole d’ingaggio. In pratica, i sauditi promettono cose che non c’entrano nulla con l’Expo.
Ma come funziona il Bie? È composto da 160 Paesi. Per scegliere la sede dell’Expo il sistema elettorale prevede tre votazioni (prima si selezionano tre città, poi due, e infine una). La decisione finale darà presa nel 2023. Riad avrebbe intanto fatto sapere informalmente di poter contare già su circa 60 voti. Un bel tesoretto. E torna alla mente quanto accadde nel 1997, quando l’Italia andò convinta di vedersi assegnati i Giochi Olimpici del 2004 che andarono invece alla Grecia. Un film che rischia di ripetersi, questa a volta a favore della capitale saudita.