Le delegazioni di Francia, Turchia e Polonia sono rimaste a Kiev, nonostante il rientro di buona parte del personale diplomatico di Stati Uniti e Regno Unito, seguiti fra gli altri da Germania, Italia, e Australia. Analizziamo i tre casi.
Francia
Il paese transalpino si permette di contraddire l’allarmismo americano: Emmanuel Macron ha dichiarato nei giorni scorsi che “sulla base di quanto sentito da Putin non c’è ragione di ritenere imminente un’invasione”. Parigi intende approfittare del vuoto lasciato da tedeschi e britannici, fornitori i primi di aiuti economici e i secondi di armamenti. La Francia si mostra inoltre vicina ai paesi dell’Europa dell’Est e ha espresso solidarietà con la posizione di Varsavia secondo cui è ora di rivedere l’accordo Nato-Russia del 1997 sul divieto di installazioni permanenti sul fianco orientale. Allo stesso tempo, l’Eliseo, che punta a sottrarre l’iniziativa agli Stati Uniti, non è in disaccordo con l’idea di coinvolgere Mosca negli equilibri militari del Vecchio Continente.
Polonia
La permanenza della Polonia potrebbe sorprendere, visto il suo legame viscerale con gli Usa. Ma la prospettiva cambia se si considerano le aspirazioni di Varsavia a ergersi a protettore dell’Est Europa e se si valuta che i polacchi temono un’intesa russo-statunitense che ne riduca il margine di sicurezza.
Turchia
Non stupisce certo la decisione di Ankara di restare, visto che la Turchia da tempo gioca sull’intromettersi nei territori evacuati dall’Unione Sovietica in Europa, in Caucaso e in Asia Centrale. Inoltre, il precipitare della situazione in Ucraina comprometterebbe la tattica di ambiguità con cui i turchi prosperano, obbligandoli a prendere una posizione netta.
Tutti e tre gli attori insomma scommettono sul bluff russo e sul controbluff statunitense.