Nella Grande Sala del Popolo, dove si svolgono i lavori dell’Assemblea nazionale, il massimo organo legislativo della Repubblica Popolare cinese, è il premier uscente, Li Keqiang, a inaugurare la sessione che terminerà il 13 marzo e che darà risposte sulla strada che la Cina ha intenzione di intraprendere in questo 2023 e nel quinquennio a venire.
Li annuncia subito il dato più atteso: quello sulla crescita economica. Pechino opta per la via della prudenza indicando un valore di circa il 5%. È un dato sotto le aspettative, ma che, se raggiunto, sarà superiore rispetto al risultato del 2022 quando la Cina crebbe del 3%: uno dei risultati peggiori degli ultimi decenni, a causa delle continue chiusure per il Covid, della crisi immobiliare e dell'indebitamento della domanda interna.
L’altro dato rilevante riguarda l’aumento - per l’ottavo anno consecutivo - del 7,2% dei fondi per la difesa per il 2023, in leggero aumento rispetto al 7,1% del 2022. In numeri assoluti l’impegno è di circa 225 miliardi di dollari.
Il bilancio ufficiale della Cina potrebbe essere in realtà sottostimato. L’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma ha valutato in quasi 300 miliardi di dollari la spesa che la Cina ha sostenuto per le sue forze armate nel 2021. Il budget cinese resta in ogni caso ben lontano da quello degli Stati Uniti, che aumenteranno la loro spesa a 816,7 mld in questo 2023.
Ma per far girare il motore della seconda economia al mondo, Pechino avrà più bisogno di carbone. Secondo i dati del National Bureau of Statistics, la Cina ha fatto affidamento sulla fonte fossile più sporca per generare il 56,2% della sua elettricità l’anno scorso.
C’è, infine, il nodo Taiwan. Il governo deve promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni e portare avanti un processo di “riunificazione pacifica”, afferma Li. Aggiungendo che la Cina adotterà misure risolute per “opporsi all’indipendenza di Taiwan” e promuovere la riunificazione.