Questa volta Jair Bolsonaro è andato oltre. Gettare fango sulla democrazia del proprio paese, la prima economia dell’America latina, dinanzi a una cinquantina di ambasciatori stranieri, come è avvenuto lunedì scorso (18 luglio), è qualcosa che ha fatto insorgere persino le forze conservatrici brasiliane.
Nella riunione con gli ambasciatori convocata al Palácio da Alvorada, la residenza ufficiale del presidente del Brasile, e trasmessa in diretta dalla televisione pubblica, Bolsonaro ha sparato menzogne a raffica sul sistema elettorale, definito “completamente vulnerabile”, ha attaccato i giudici del Tribunale superiore elettorale (Tse) e della Corte suprema, arrivando a chiedere per le elezioni del 2 ottobre un conteggio parallelo dei voti da parte delle forze armate.
Il fatto è grave a tal punto che le reazioni sono giunte quasi da ogni parte: da membri dell’Alto comando dell’esercito, dalle tre associazioni della polizia federale e anche dalla grande stampa conservatrice, oltre che dalle forze politiche, dai giuristi, dalle più diverse organizzazioni della società civile e dai movimenti che hanno dato vita alla Campagna Fora Bolsonaro nel 2021 e che oggi sollecitano “una forte reazione contro il possibile golpe”. Ha reagito persino l’ambasciata degli Stati Uniti, che, in una nota, definisce il sistema elettorale brasiliano come un “modello” per il mondo.
Ma le reazioni, per quanto indignate, non bastano. Come ha denunciato l’antropologo e politologo Luiz Eduardo Soares, il fatto che Bolsonaro abbia “annunciato il golpe e non sia stato arrestato, né la popolazione sia scesa in massa per le strade, è la prova che non ci troviamo in uno stato di diritto”.