Alla fine non ha vinto nessuno dei due contendenti al primo turno delle elezioni presidenziali nella prima economia del Sudamerica, dove però metà della popolazione (parliamo di circa 125 milioni di persone) ha problemi di povertà.
Il nuovo presidente del Brasile verrà dunque eletto il 30 ottobre. Si va al ballottaggio. Lula, che sente di poter vincere e tornare a guidare il paese dopo 12 anni di assenza, prevale (48%), Bolsonaro lo tallona (43%).
Il voto è stato comunque partecipato. In 156 milioni di sono recati ai seggi. Anche perché si doveva eleggere non solo il nuovo presidente ma i deputati, un terzo dei senatori, i governatori degli Stati federali.
Lula, sostenuto ora da una coalizione di dieci partiti, ha dovuto risalire la china dopo aver affrontato il carcere in seguito a una condanna per corruzione. L’uomo delle “nove dita”, come veniva definito dal suo avversario, per aver perso il mignolo sinistro sotto il tornio da metalmeccanico, ha trovato nuovo slancio con la decisione della Corte Suprema che annullava tutte le sentenze.
Bolsonaro paga invece i 650 mila morti per il coronavirus, il ritardo nella distribuzione dei vaccini, l’aumento dei prezzi che ha cercato di compensare con nuovi sussidi e sconti sui carburanti. Ha emulato Donald Trump e negato che l’Amazzonia sia a rischio. Si è rifugiato nel mondo militare, tra gli evangelici, i latifondisti e i grandi allevatori.
Vedremo alla fine di questo mese chi la spunterà nel paese che è uscito dalla dittatura militare nel 1985 e che oggi può contare su un Pil procapite inferiore a 7mila dollari statunitensi.