Per decenni in India il clientelismo ha fornito una corsia preferenziale per avere successo negli affari, oggi con il governo di Nerendra Modi il capitalismo indiano potrebbe avere un nuovo corso ma il percorso sarà ancora lungo e difficile.
In passato alcuni magnati senza scrupoli di settori strategici come l’energia, l’estrazione mineraria, le telecomunicazioni e le infrastrutture hanno sfruttato le loro connessioni con i funzionari statali a proprio vantaggio, per ottenere i permessi necessari ma anche i finanziamenti dalle banche con importi superiori al dovuto per potersi arricchire.
Oggi questo sistema è sotto scacco: la riforma del codice fallimentare facilita il sequestro delle imprese, così che in caso di insolvenza l’azienda viene chiusa e la sua attrezzatura venduta. A questo si aggiunge il giro di vite del governo sulle banche statali in perdita che non possono più nascondere i loro problemi. Inoltre i più grandi uomini d’affari indiani non sono in cima ai pensieri del premier Modi, che preferisce fare affari con l’estero.
Per fare chiarezza anche nei conti dei partiti politici e sui loro finanziamenti saranno necessarie riforme più profonde, ponendo fine al sistema che consente di raccogliere fondi attraverso donazioni anonime: si stima che fino alle elezioni federali previste nella primavera del 2019 arriveranno nelle casse dei partiti indiani 5 miliardi di dollari.
La riforma delle banche di proprietà statale resta il compito più importante: è nei loro bilanci che si registra il 70% dei prestiti e quasi il 100% dei problemi in ambito commerciale. Per dare un nuovo corso al capitalismo indiano il premier Modi dovrà mettere necessariamente mano anche a questo.