Per la prima volta il partito di destra Vox ha conquistato seggi nell'assemblea regionale andalusa, eleggendo 12 deputati. È una sconfitta per il partito socialista spagnolo e per il primo ministro Pedro Sanchez.
Seppur in calo, il Partito socialista si conferma comunque prima forza politica della regione con 33 deputati. Al secondo posto il Partito popolare, che ha eletto 26 deputati, quindi Ciudadanos con 21, il partito locale Adelante Andalucia con 17 e Vox con 12.
Il presidente del partito di estrema destra, Santiago Abascal, esulta e spiega con un cinguettio che “Vox conquista le chiavi dell'Andalusia per espellere il socialismo corrotto e spaventare il comunismo Chavista".
È la prima volta dalla fine della dittatura di Francisco Franco (1975) che l'estrema destra entra nelle istituzioni regionali in Spagna. Caso unico nell’Ue, in Spagna non c'era alcuna formazione politica alla destra del Partido Popular o dei liberali di Ciudadanos. Ma adesso quel partito c'è. Anche se il programma prevede un po’ di tutto: dall'abrogazione delle leggi sulla Memoria storica che riabilitano le vittime del franchismo alla sospensione dello spazio Schengen. Dal taglio delle tasse alla cancellazione della legge sulla violenza di genere.
Una delle chiavi per interpretare lo spostamento del baricentro politico è nell'aumento della disuguaglianza, che in Spagna è cresciuta sensibilmente rispetto agli altri paesi europei nel corso degli ultimi 15 anni. La narrazione dominante racconta che la recessione del 2008 è stata devastante, ma l’economia mondiale poi si è ripresa spinta dalle politiche monetarie espansive. Il prezzo della crisi, tuttavia, continua ad essere pagato da qualcuno e andrà avanti così per anni. A meno che non si cambi radicalmente approccio. È la fotografia sul paese iberico scattata da Andreu Missé (“El Pais”).
La disoccupazione è diminuita anche in Spagna ma meno velocemente di quanto accaduto negli altri partner europei. Con l’effetto di un sensibile aumento della disuguaglianza e della frammentazione sociale. "Uno dei risultati della disoccupazione strutturale è nell'allontanamento progressivo dei giovani”. La dichiarazione del 1983 è dell’ex segretario generale dell’Ocse, Emiel Van Lennep, ed è stata utilizzata da Eric Hobsbawn per raccontare la storia del 1900. Van Lennep temeva una rottura sociale e la creazione di un mercato del lavoro segmentato.
Quelle paure sono oggi realtà. Negli anni 1998-2000 il tasso di disoccupazione in Spagna era di 4,3 punti in più rispetto alla media dell’Eurozona. Ora la distanza è salita a 7,2 punti.
Secondo José Luis Escrivá, presidente dell'Autorità indipendente per la responsabilità fiscale (Fiera), uno dei motivi che spiegano l'aumento della disuguaglianza in Spagna è connesso alla politica fiscale che ha un effetto redistributivo inferiore a quello dei paesi dell’Eurozona: riduce la disuguaglianza soltanto del 15%. Si tratta di un impatto nettamente inferiore rispetto a quello raggiunto, ad esempio, in Francia e Germania, che con le loro politiche fiscali riescono a ridurre le disuguaglianze del 40%.
Tutto questo ci ricorda il persistente ritardo della Spagna su alcuni aspetti centrali come quello della fiscalità e della disoccupazione (soprattutto giovanile). Che ora si sommano al ritorno di un'ultradestra assente da lungo tempo nel paese iberico. E per ovvi motivi.