I principali vantaggi nel far parte dell'Ue hanno ben poco a che vedere con la politica di coesione o con quella agricola. Riguardano piuttosto l'offerta di beni collettivi che il paese avrebbe difficoltà a fornire da solo. Ad esempio, la possibilità di negoziare i trattati internazionali in una collettività di 27 paesi, per le imprese di accedere al mercato unico e per i lavoratori di muoversi liberamente tra le frontiere.
Stretta tra la necessità di non far crescere troppo il bilancio europeo (che resta intorno all’1% del Pil) e quella di aumentare la spesa sui beni pubblici europei finora negletti, la Commissione ha cercato una soluzione di compromesso.
Che si traduce in una riduzione (in rapporto alla spesa totale) del finanziamento alle politiche tradizionali - coesione e agricoltura - cui corrisponde un incremento della spesa per i beni pubblici. Sono triplicati i fondi europei per il controllo delle frontiere e la gestione dell’immigrazione, raddoppiati quelli per la sicurezza interna e per la ricerca e l’innovazione, moltiplicate per venti le risorse per il fondo di difesa comune.
Primo, se la proposta fosse accettata, l’Ue avrebbe la possibilità finora negata di sospendere, ridurre o restringere l’accesso dei paesi membri in presenza di comportamenti scorretti.
Secondo, si prevedono prestiti per sostenere la spesa di investimento se un paese è colpito da un forte shock asimmetrico, finanziamenti per accelerare la convergenza economica e trasferimenti per ridurre la spesa per interessi nel caso un paese debba ricorrere all’ European Stability Mechanism. Sebbene il segnale politico sia stato lanciato, le risorse immaginate (55 mld per i primi due interventi, 600 mln per il terzo) sono insufficienti per sostenere una politica di bilancio comune nell’eurozona.
L’Ue dovrebbe spendere di più e meglio, ovvero in modo più equo ed efficace, ma la direzione intrapresa sembra essere quella giusta.