Il premier spagnolo Pedro Sanchez è stato chiaro: voterà contro l’accordo sulla Brexit se non saranno inseriti alcuni emendamenti riguardanti il futuro della penisola di Gibilterra. Sarebbe l’unico paese tra i 27 a opporsi. Un’altra grana per Theresa May.
Il minuscolo territorio britannico – 6.800 km quadrati - è stato a lungo oggetto di contesa tra il Regno Unito e la Spagna. Nonostante le pretese spagnole di sovranità, i residenti di Gibilterra – che fu ceduta formalmente alla Gran Bretagna nel 1713 come parte del Trattato di Utrecht - hanno respinto l'idea, più volte e chiaramente. Nel 1967 hanno bocciato il referendum che proponeva l’annessione a Madrid e nel 2002 hanno rifiutato anche una sorta di controllo congiunto britannico-iberico. Paradossalmente, il 96% dei cittadini di Gibilterra ha però votato NO al referendum sulla Brexit. Ma ora il vento è cambiato e i 30 mila abitanti sono convinti di seguire Londra l’anno prossimo.
Ma non c'è soltanto Gibilterra ancora sul tavolo negoziale. Così, con l’obiettivo di provare a ridurre il disappunto dei dissidenti all’interno del suo partito, Theresa May è volata a Bruxelles il 21 novembre per incontrare Jean-Claude Juncker. Ci sono vari aspetti da limare, come dimostra il fatto che i due si vedranno di nuovo sabato 24.
Oltre al punto nevralgico "irlandese", la pesca. L’oggetto del contendere è il mare intorno alle coste del Regno Unito ricche di pesce. Una serie di paesi (Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Spagna, Portogallo e Germania) temono, infatti, che l'accesso dei loro pescatori alle acque territoriali britanniche possa non essere più garantito. L’accordo sulla Brexit prevede che un’intesa tra Londra e Bruxelles sulla pesca debba essere siglata entro il 1° luglio 2020. Questo comma, tuttavia, non sembra aver rassicurato nessuno tra gli interessati.
I sostenitori dell'uscita dall'Ue vedono la Brexit come un'opportunità per rinvigorire lo strategico settore ittico. Nella loro ottica lasciare l'Unione consentirà il ritorno al pieno controllo delle acque territoriali – fino ad ora condivise con i pescatori europei - senza dover più sottostare alle quote sul pescato imposte da Bruxelles. Ma il rischio è l’introduzione di nuovi dazi del 75% sui prodotti britannici che potrebbero essere imposti dall'Ue.
In questa empasse si è inserito Michel Barnier proponendo l'estensione del periodo di transizione fino alla fine del 2022. Quindi due anni in più. Theresa May deve decidere se accettare entro domenica: la data che segna la fine del periodo di transizione deve essere inserita nell’accordo. Così come occorre risolvere la spinosa questione Gibilterra. Si tratta di nodi che vanno sciolti entro il 25 novembre in occasione del vertice speciale dell’Ue sulla Brexit. E, intanto, Angela Merkel ha minacciato di non andare domenica a Bruxelles se l'intesa non sarà chiusa.