Il punto di vista dell’economista spagnolo Juan Torre Lopez su quanto sta accadendo in Europa.
Se c’era una speranza che l’Ue diventasse un vettore decisivo per la costruzione di relazioni internazionali pacifiche e multipolari, e un motore di un nuovo tipo di economia sostenibile e più equa, sembra svanita negli ultimi mesi.
Di fronte all’invasione dell’Ucraina, l’Ue ha scelto la posizione peggiore tra tutte quelle possibili. Quella che suppone un maggior costo economico per l’Europa, quella che la rende più dipendente dagli Stati Uniti, quella che la Russia può sopportare con meno difficoltà e quella che fa più danni all’Ucraina.
Anche di fronte all’inflazione, il più grande problema economico che abbiamo a breve e medio termine, non è andata meglio. Bruxelles ha reagito in ritardo e senza una politica comune, coordinata e di ampio respiro, come sarebbe invece necessario per un problema così complesso. Gli Stati Uniti, invece, hanno approvato un’importante legge per ridurre l’inflazione. La Commissione Europea non ha visto in questo provvedimento statunitense un esempio da seguire, bensì un rischio per alcuni gruppi industriali europei.
C’è poi una sorta di ciliegina (avariata) sulla torta. In appena 48 ore, la scorsa settimana, l’Ue ha fatto tre mosse, molto discutibili.
La Commissione ha avanzato una proposta per un tetto ai prezzi del gas che, anche il ministro spagnolo per la Transizione ecologica e la sfida demografica, Teresa Ribera, ha definito un “brutto scherzo”. Un price cap che non entrerà mai in funzione e che rende i prezzi del gas ancora più dipendenti dalla speculazione sui mercati finanziari. In pratica, una vittoria per Germania, Norvegia e Olanda. Paesi che hanno specifici interessi affinché i prezzi restino volatili.
Nelle stesse ore, il Parlamento europeo ha dichiarato la Russia un paese che promuove il terrorismo. Una dichiarazione roboante che non comporta alcun impegno concreto e che riduce l’eventuale potere negoziale dell’Europa per trovare una soluzione al conflitto in Ucraina. Nemmeno gli Stati Uniti hanno osato compiere questo passo, probabilmente consapevoli di essere tra i paesi che hanno causato guerre inutili in varie parti del mondo.
Come se non bastasse, il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha affermato che “la politica fiscale (dei governi nazionali, ndr) non deve contraddire la Banca centrale europea”. Certo, può essere considerato un grave errore far sì che la politica fiscale e quella monetaria si neutralizzino a vicenda. Che è poi quello che sta realmente avvenendo in Europa, dove la Bce prova a raffreddare la domanda (sperando che l’inflazione scenda) e i governi la rilanciano.
Ma l’affermazione di Dombrovskis è comunque scorretta. La via è coordinare la politica fiscale e quella monetaria, e non assoggettare la prima a quanto stabilisce la Bce, un istituto non eletto da nessuno. Fatto che potrebbe davvero mettere a rischio la democrazia.
Il vero problema è il silenzio, di fatto, di 28 Parlamenti: i 27 nazionali oltre a quello europeo. L’Europa rischia così di diventare un burattino nelle mani degli Stati Uniti. Nel frattempo, la prima economia comunitaria e quarta al mondo ha deciso di andare da sola verso Oriente.