Un nuovo paradosso incombe sul Vecchio Continente: se da un lato lo stop alla guerra in Ucraina aiuterebbe ad arginare l’emorragia economica dell’Europa, dall’altro un ipotetico processo di pace rischierebbe di dividere l’Ue. Un processo di pace credibile infatti richiederebbe negoziati complessi coinvolgendo le grandi potenze mondiali. Ma chi rappresenterebbe l’Europa a quell’importante tavolo?
Prendiamo ad esempio due principali paesi: Francia e Germania. Nelle aree orientali e nord-orientali dell’Ue, il presidente Emmanuel Macron è (mal)visto come un sostenitore del principio “terra (ucraina) in cambio di pace”. Allo stesso modo, anche mettendo da parte la dipendenza a lungo termine della Germania dall’energia russa, la posizione del cancelliere Olaf Scholz come tedoforo dell’interesse collettivo europeo si è ulteriormente indebolita dopo il recente varo del pacchetto da 200 miliardi di euro destinati a sostenere l’industria tedesca.
Allo stesso tempo, le élite francesi e tedesche disprezzano l’idea che l’Ue possa essere rappresentata in un eventuale processo di pace da leader del calibro di Kaja Kallas, primo ministro estone, o Sanna Marin, premier finlandese. Quindi, la domanda resta aperta: chi rappresenterà l’Unione in qualsivoglia futuro processo di pace? Al momento i designati sarebbero Charles Michel, il presidente del Consiglio dell’Ue, e Josep Borrell, il capo della politica estera dell’Unione, ma Macron e Scholz, insieme a quasi tutti gli altri presidenti o primi ministri europei, avrebbero sicuramente da obiettare.
Al di là della rilevanza politica o meno dei rappresentanti comunitari, sarà probabilmente l’Ue a pagare il conto della guerra in Ucraina. Ma non c’è motivo per supporre che ciò possa garantire all’Unione europea un ruolo influente durante il processo di pace. Ci sono invece buone ragioni per ipotizzare che il ruolo dell’Ue come principale finanziatore della ricostruzione dell’Ucraina finirà per dividere i paesi membri, indebolendo l’Unione.
La Banca europea per gli investimenti stima che il costo della ricostruzione dell’Ucraina ammonti a circa 1 trilione di euro, l’equivalente dell’importo del bilancio dell’Ue nel periodo 2021-27 e una cifra superiore del 40% rispetto al NextGenerationEU, il fondo per la ripresa post-pandemia.
Dunque? Già gravata dal suo piano interno da 200 miliardi di euro per sostenere il modello industriale al collasso della Germania, e dai 100 miliardi di euro che Scholz ha stanziato per aumentare la spesa per la Difesa, Berlino non ha lo spazio fiscale per fornire anche solo una frazione di quella somma. Se la Germania non può pagare, figuriamoci gli altri Stati membri. Rimane solo una possibilità per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina: l’emissione di debito comune, esattamente come fatto in occasione della creazione del fondo per la ripresa nel 2020.
Ma due anni fa l’inflazione era negativa e tutti i membri dell’Ue erano in crisi economica mentre i lockdown avevano sensibilmente ridotto la domanda in tutta Europa. Con l’arrivo della pace, prima o poi, il conto da saldare a favore di Kiev sarà salato e gravato da tassi di interesse quadruplicati, un'inflazione dilagante e benefici economici disomogenei per gli Stati membri.
La Spagna metterà in discussione l’equità del debito condiviso quando le aziende tedesche faranno la parte del leone nel business della ricostruzione dell’Ucraina. La Polonia protesterà rumorosamente quando la Germania e l’Italia annunceranno che, con la pace ristabilita, compreranno di nuovo energia dalla Russia. L’Ungheria venderà a caro prezzo la sua acquiescenza a qualsiasi fondo ucraino.
Dopo il terremoto finanziario del 2008, nell’Ue è emersa la faglia Nord-Sud, alla quale in seguito alla guerra in Ucraina si è aggiunta quella Est-Ovest. Ecco perché per i leader europei la pace può aspettare.